Katz, Hirst, la Tate e la pochezza dell’Italia

Mi aveva incuriosito il titolo della mostra, “Give me tomorrow”, e ancora di più la location: la Tate di St. Ives, in Cornovaglia. La mostra di Alexander Katz che ho visto ieri era esattamente quello che mi aspettavo, vale a dire una carrellata di affreschi delicati e al tempo stesso intriganti che soltanto una mano capace e uno sguardo raffinato come quelli del maestro newyorkese sono in grado di offrire.
Inserita all’interno del London Festival 2012, il programma culturale che ha accompagnato l’anno olimpico, la mostra è notevole sin dalle intenzioni. Dare ad un ragazzo di 85 anni il compito di scandagliare il futuro per riprendersi il domani è già di per se un intento lodevole. L’esecuzione è poi all’altezza delle aspettative: nei dipinti di Katz esposti in Cornovaglia troviamo evocati maestri della grande tradizione europea come Manet e Matisse ma anche la luce ed i colori di un americano illuminato come Hopper. Trenta lavori d’ispirazione marina che Katz ha realizzato traendo principalmente spunto dal suo luogo delle vacanze, Lincolnville, nel Maine, e che perfettamente si incastonano nelle atmosfere di St. Ives, perla di quel turismo inglese old style dal fascino sublime. Ma questo, come dicevo, non mi ha sorpreso tanto. Katz, e le opere da lui selezionate dalla collezione della Tate per arricchire la mostra, erano di per se una garanzia, un binomio vincente. La sorpresa è invece venuta dalla location. Vedere tre giorni fa Damien Hirst alla sua prima mostra alla Tate Modern a Londra è stato un piacere vero, ma non ha destato sorpresa alcuna. L’artista, piaccia o no, per la qualità del suo lavoro e come leader della Young British Artists è entrato a pieno titolo nella storia del contemporaneo. La Tate sul Tamigi non poteva non essere il suo teatro naturale, l’approdo agognato quanto meritato e atteso. Ma questa è Londra. St. Ives in Cornovaglia è invece un contesto diverso, che lasciava spazio a qualche dubbio. Per questo sono rimasto colpito. La Tate a St. Ives è una splendida conferma di quanto il contemporaneo possa essere un genere anche molto popolare: basta saperlo gestire e impiegare nei dovuti modi. Vedere un piccolo ma ben organizzato museo aprirsi ad un mare chiaro e ad una lunga spiaggia bianca popolata da giovani surfisti e da famiglie di palette e secchielli armati è risultata ai miei occhi l’ennesima prova che all’estero sanno far fruttare la cultura e da noi no. Il museo era pieno di questi turisti che non mi sono sembrati necessariamente degli appassionati di Katz. Nossignore. In buona parte era gente andata lí per farsi un bel bagno e poi, già che c’era, è entrata a vedere Katz e il suo desiderio di riprendersi il domani. E, vi assicuro, erano tanti e contenti. Vi risulta che in Italia vi siano posti o iniziative di questa fatta a Rimini, Positano o a Santa Margherita? Vi risulta che un museo italiano abbia aperto proprie sedi secondarie? Il Louvre l’ha fatto con successo, laTate pure. Da noi, as usual, ferve il dibattito.