Lucchetti sì lucchetti no

Venezia

Che sia un bene o un male Federico Moccia ha plasmato una generazione. I suoi romanzi son divenuti tra i più letti tra gli adolescenti e le trasposizioni cinematografiche delle sue storie fanno il tutto esaurito. Insomma uno scrittore di “formazione” che ha colpito a tal punto i suoi giovani lettori che essi ripetono, come promessa d’amore, quella che i protagonisti di Ho voglia di te – il libro pubblicato nel 2007 – si scambiano. Si tratta di un rito ormai a tutti noto: chiudere simbolicamente in un lucchetto l’amore dei due amanti e poi gettare le chiavi nel fiume. La pratica così, partendo da ponte Milvio, il luogo romano primigenio citato nel romanzo, ha contagiato mezza Italia. Ma le caterve di lucchetti ammassati sui ponti delle città più belle del Paese non piacciono alle amministrazioni che combattono ad arma di tenaglie contro il fenomeno dilagante. Così anche a Venezia, di tanto intanto, si ripulisce dal luccichio metallico che spunta di ponte in ponte. Ma l’ultimo blitz ha indotto Gianfranco Bettin, sociologo, scrittore e saggista a intervenire. Si tratterebbe di “un voto d’amore verso Venezia” come lo definisce Bettin, che invita ad usare una linea più morbida nei confronti degli innamorati dei lucchetti e quindi a non demonizzarli come se fossero dei teppisti. Quindi “rimozione sì, ma con buon senso” afferma il sociologo. Non si voglia urtare la profondità d’animo dei “mocciosi”.