Contro la bidimensionalità

Gesto e Materia è il titolo della prima personale a Roma dell’artista torinese Nicola Bolaffi. La mostra, ospitata nello spazio capitolino di Ermanno Tedeschi (torinese anche lui), si struttura nell’esposizione di un affastellamento di opere pittoriche di diverse dimensioni, quasi tutte monocromatiche, atte a creare grandi pattern e composizioni in cui le forme geometriche si mescolano con i linguaggi cromatici e materici, di grande impatto visivo ed emotivo. Le pennellate di Bolaffi, fluide e decise, così come i colori e le forme, attentamente valutati, vogliono essere i veicoli di una comunicazione pittorica densa di contenuti e di riflessioni, che non appartengono più soltanto all’artista ma a tutti coloro che guardano le sue opere, e che cercano di comprenderne appieno i messaggi contenuti. Dunque un’arte che tende a palesarsi poco alla volta, con lentezza, inducendo il pubblico a mettere a fuoco i particolari che si celano dietro l’apparente monocromo, andando oltre l’astrazione geometrica, la pittura informale e la bidimensionalità del quadro.

La materia, sapientemente elaborata dall’artista, si nasconde in un gioco continuo di pieni e vuoti, coadiuvata dai colori saturi che vanno dai neri bituminosi agli ori luccicanti, dai rossi cardinale e verdi smeraldo, timbri cromatici violenti che, abbinati spesso alle forme geometriche primarie, conferiscono ai lavori un effetto quasi psichedelico. L’originalità delle sue composizioni sta anche nell’uso che Bolaffi fa di alcuni materiali del tutto estranei ai mezzi canonici artistici. Così solo a uno sguardo più attento si possono scorgere oggetti usati rigorosamente per le loro qualità materiche. Tra questi ci sono gli spaghetti, spezzati e incollati sulla tela, posizionati in vari modi fino a formare veri e propri motivi. Il risultato finale di questo processo porta a decontestualizzare gli oggetti stessi che, non solo diventano parte integrante dell’opera, ma scompaiono completamente dietro strati e strati di colore.

I giochi di luce e ombra, sempre diversi, sono dovuti alle molteplici superfici che vanno a stagliarsi sulla tela, conferendo un effetto quasi tridimensionale dovuto proprio alla variazione atmosferica e alla qualità della luce. Il percorso di questa mostra ci conduce quindi a qualcosa che va oltre, pur non sapendo né cosa, né dove sia. Potrebbe nascondersi negli interstizi della tela stessa, nelle fessure che si formano tra uno strato e l’altro di materia e colore. Tuttavia, per comprendere appieno la pittura di Nicola Bolaffi, bisogna tenere conto anche del gesto che tende a legare tutti gli elementi nella determinazione dei rapporti di timbri e di accenti, di spazi e di dimensioni. Non è un gesto improvviso e violento, c’è qualcosa di più razionale, calcolato e ordinato all’interno di una processualità che si fa carico di molti fattori, come la forma e la materia, il segno e il colore che occupano la totalità dello spazio. Uno spazio dunque profondo, nascosto, ma mai negato nella superficie delle tele che, pur apparendo silenziose, detengono in realtà una stupefacente forza espressiva.

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