Gli altri mondi di Mimmo

Roma

A vederlo di persona, così minuto e dall’abito sempre elegante, non si direbbe che è la stessa persona la cui mano impasta e firma le grandi tele cariche di futuribile passione. Si muove veloce, Mimmo Centonze, in senso fisico, quando attraversa i corridoi degli spazi espositivi che lo vedono protagonista, e in senso teorico, quando in pochi anni riesce a focalizzare l’attenzione della critica più elitaria e a emergere, a poco più di trent’anni, dal pastoso magma degli artisti contemporanei nostrani. Con un occhio a De Chirico, che omaggia da adolescente realizzando la sua prima copia d’autore su tela, Cavalli fuggenti, e una mano alla plasticità dell’anatomia di da Vinci, l’artista di Matera intraprende un percorso di dedizione e ostinazione verso il sacro fuoco dell’arte che lo porta dal piccolo studio allestito nello scantinato di casa ai maestosi spazi del palazzo delle Esposizioni di Roma, passando per il padiglione dell’Arsenale alla 54esima Biennale di Venezia. È in questa occasione che espone il piccolo ritratto del boss mafioso Totò Riina, definito dal critico Luca Beatrice “addirittura delizioso, non fosse che il personaggio in questione è Totò Riina, difficile pensare di metterselo in casa”. Dalla predilezione per i ritratti ai familiari, che Centonze rileva da Lucian Freud, alla scelta di ritrarre paesaggi desolati di abbandonati spazi industriali, protagonisti della serie sui capannoni, le sue opere tendono verso un misticismo di ricerca che si manifesta, però, negli oggetti e nei particolari apparentemente lontani e contrari a uno stato di grazia. Centonze non nega, infatti, la sua spiritualità, rafforzata da una lettura quotidiana della Bibbia, che si riversa anche nella musica, altra grande sua passione, dedicandosi alla composizione di brani per orchestra, in seguito elaborati al computer, e alla scultura, scoperta e concretizzata negli ultimi anni con l’opera Conversione. Mentre è ancora intento a realizzare le opere inedite per la personale capitolina, curata da Vittorio Sgarbi, Centonze ci guida alla scoperta della sua poetica.

Che rapporto hai con lo spazio della tela, fisicamente limitato, e la vastità delle vedute che caratterizzano i tuoi esterni?

«Lo stesso rapporto che devi avere con la vita: sai di non avere un’esistenza illimitata a disposizione e allora cerchi di sfruttare al massimo il tempo che hai e, ancora meglio, di non trascurare l’evidente esistenza di un creatore. Proprio come nelle rappresentazioni dei miei capannoni: dipingi un interno ma tendi a uscirne per spingerti verso quella luce spirituale che ti attira lì fuori».

Cosa ti affascina del ritratto?

«La duplice possibilità che ti dà realizzarlo: rappresentare qualcosa di visibile ma al tempo stesso scavare con il mezzo pittorico per far riaffiorare quello che non si vede e che inspiegabilmente rimane impresso sul volto di chi ritrai. Inoltre è inevitabile lasciare anche traccia di te stesso sul ritratto di un’altra persona. È davvero affascinante»

La mostra capitolina presenta delle opere inedite, come hai lavorato a queste nuove tele?

«Nel caso di Lettura biblica e Ragazza sul parquet con peluche si è trattato di un processo molto lungo: sono opere che ho iniziato nel 2007 ma ho lasciato incompiute a causa dell’idea incontenibile di dipingere capannoni, nel 2008. Le ho lasciate allo stato di abbozzo sapendo comunque di avere delle buone opere che in seguito avrei ultimato».

Come stai vivendo questa crescente attenzione nei riguardi del tuo lavoro? Sei stato anche segnalato tra i 100 artisti contemporanei italiani e tra i 70 artisti della Biennale di Venezia sui quali investire.

«Come un riconoscimento alla mia caparbietà: ricordo mia madre che mi pregava di cercarmi un lavoro più sicuro, anche a mezza giornata, per dedicare il resto del tempo alla pittura. Ma io a 14 anni avevo già deciso».

Pur essendo giovane, dipingi già da vent’anni. Come credi si evolverà la tua ricerca artistica? Sei affascinato anche da altri mezzi o la pittura soddisfa la tua necessità di espressione?

«Dal 2009 realizzo sculture, anche di grandi dimensioni, ma mi ha sempre attratto il fatto che il dipinto ha un grande vantaggio rispetto ad altre forme d’arte: con un colpo d’occhio puoi percepire l’opera nel suo insieme, in un solo istante. Ed inoltre è sempre lì, proprio davanti a te. Nel caso di una scultura devi necessariamente girarci attorno e ne vedrai sempre un punto di vista che ne esclude altri oppure se ascolti una sinfonia devi aspettare un’ora prima di “vederla” completa ma soltanto nella tua mente, perché le note che hai appena ascoltato sono già state assorbite dal tempo trascorso».

 

LA MOSTRA

Al palazzo delle Esposizioni di Roma

La personale, dal titolo Mimmo Centonze, propone oltre quaranta tra dipinti e sculture. A cura di Vittorio Sgarbi, la monografica presenta un ventaglio di opere che tracciano gli ultimi dieci anni di sviluppo del percorso artistico di Centonze. Una novità della mostra è rappresentata anche dall’originale allestimento della sala Fontana, con un inedito itinerario espositivo: le opere sono infatti raccolte in modo tale da creare un peculiare triplo percorso concentrico. Dal 28 maggio al 10 giugno. Palazzo delle Esposizioni, Roma. Info: www.palazzoesposizioni.it