I pionieri dell'arte

Il viaggio da un luogo verso un altro luogo e il viaggio dentro sé stessi. Questo il filo conduttore della mostra pensata dallo storico dell’arte trevigiano Marco Goldin che, con ottanta capolavori della pittura europea e americana del XIX e del XX secolo e una decina di lettere originali di Van Gogh, vuole riportare alla memoria i viaggi dei pionieri americani, ansiosi di scoprire territori sconosciuti ma anche, e soprattutto, i viaggi interiori di artisti come Van Gogh e Gauguin, che hanno passato la vita cercando di capire qualcosa di più su sé stessi e sul mistero dell’esistenza. Cuore dell’esposizione sono quaranta opere di Van Gogh e il celebre quadro di Paul Gauguin Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1897-98), che il museo di Boston, nel quale è conservato, concede in prestito per la quarta volta, e solo per la seconda volta in Europa. Nessun’altra opera potrebbe significare meglio il senso che la mostra genovese intende dare del viaggio: viaggio come esplorazione geografica, come spostamento fisico e viaggio nella propria interiorità.

La mostra presenta le opere di quindici artisti – Van Gogh, sette pittori europei e sette statunitensi – e si organizza in due sezioni, l’una dedicata alla pittura statunitense e l’altra alla pittura europea. Il percorso espositivo si apre coi dipinti di due importanti pittori americani del XIX secolo, Edwin Church (1826-1900) e Albert Bierstadt (1830-1902), che hanno tradotto in immagini di sapore epico e romantico gli sconfinati e imponenti paesaggi dell’Est e dell’Ovest: la valle dell’Hudson, la costa del Maine, i territori compresi tra i parchi di Yellowstone e Yosemite. A essi hanno guardato, con esiti molto diversi tra loro, anche Winslow Homer (1836-1910) e Andrew Wyeth (1917-2009), autori, rispettivamente, di scene di mare e malinconici e visionari “paesaggi interiori”, in cui le figure sembrano fondersi e diventare tutt’uno con la natura circostante. Un modo di agire che, per certi versi, potrebbe richiamare alla mente quello di Hopper, che ha saputo trasformare il paesaggio, le scene urbane e quelle di interni in specchio dell’anima dei personaggi raffigurati rendendo palpabili la tristezza, il silenzio e la solitudine.

Il viaggio di Hopper fa da introduzione alle opere di Mark Rothko, un artista russo, naturalizzato americano, che, con le sue composizioni astratte, fatte di bande monocromatiche dai colori fluttuanti, riesce a trasmettere una formidabile tensione mistica e spirituale. I suoi lavori sono affiancati a quelli di William Turner, autore di cieli e mari plumbei e tempestosi, nei quali si manifesta la maestosità della natura e la fragilità dell’uomo. Il mare è protagonista anche dei fulminanti e geometrici “Ocean parks” di Richard Diebenkorn (1922-1993), degli strazianti dipinti di Nicolas De Staël (1914-1955) e delle romantiche vedute di Caspar David Friedrich, che, col suo veliero immerso nella nebbia dell’Elba, introduce alla seconda parte di questa rassegna, quella dedicata alle espressioni artistiche europee.

Il primo artista che ci viene incontro è uno dei grandi protagonisti di questa mostra, Paul Gauguin. La sua opera è quella che più di ogni altra rappresenta il senso di quest’esposizione, un viaggio in terre lontane alla ricerca di nuove emozioni e nuovi significati anche se, più che dare risposte, sembra porre delle domande. Secondo Gauguin, infatti, quello che conta in un’opera, è “ciò che non è espresso, (ciò che) emerge tra le righe, senza colori o parole”. Se questi ha cercato di trovare delle risposte andando lontano, sotto i cieli dei Tropici, più o meno negli stessi anni un altro grandissimo artista francese, Claude Monet ha cercato le sue risposte osservando e riproducendo l’esuberanza della natura e i colori delle sue ninfee. Quella che traspone su tela, infatti, non è più soltanto la realtà, che poco a poco si disintegra, ma l’emozione che si prova al cospetto della bellezza, al mistero della creazione. L’approccio di Kandinsky è invece molto più meditato e mentale e si svolge tutto all’interno del linguaggio pittorico, grazie al quale e a sollecitazioni matematiche e musicali, cerca di riprodurre il suono interiore delle cose e tradurre in immagini lo spirituale. Un altro artista metodico e solitario è Giorgio Morandi, che ci ha lasciato straordinarie nature morte, nelle quali può ritrovarsi, paradossalmente, il senso della vita.

Nel passaggio tra la prima e l’ultima sezione troviamo una ricca selezione di dipinti e disegni di Van Gogh, di cui viene ripercorso il cammino dal buio delle stanze olandesi agli anni di Parigi, dai primi quadri di Arles ai dipinti degli ultimi anni, segnati dal dolore e da oscuri presagi. La mostra, che molto deve ai generosi prestiti del Van Gogh museum di Amsterdam e del Kröller-Müller museum di Otterlo, si chiude con l’Autoritratto di Van Gogh al cavalletto (1888), simbolo di una vita dedicata all’arte, e col Covone sotto un cielo nuvoloso (1890), che l’artista ha dipinto ad Auvers tre settimane prima di uccidersi e porre fine al suo “viaggio nel colore e nell’abisso, verso la luce del Sud e nel buio del proprio male di vivere”.

Fino al 15 aprile
Palazzo Ducale, Appartamento del Doge
Info: 0422429999; www.lineadombra.it

Articoli correlati