Giulio Paolini, riflessioni sull’arte

Un’opera d’arte che parla di se stessa e del rapporto con chi la osserva da variabili distanze. L’essenza del lavoro di Giulio Paolini, genovese classe 1940, potrebbe essere sintetizzata così, salvo incorrere  nel trabocchetto narrativo, caro al raffinato dandy Wilde, di voler racchiudere il mondo in una frase rischiando di tralasciare le necessarie sfumature. Se poi il mondo è quello di un artista, il rischio che si corre è serio. Mutevoli e più sottili le implicazioni del fare arte, bisogna accostarsi all’opera con cautela e dosate riflessioni. Paolini ha sposato la causa del "concettuale", ne è il maestro riconosciuto, nel corso degli anni ha sviluppato una meditazione autoriflessiva sulla dimensione dell’arte, sulla sua "classicità" senza tempo e sulla sua prospettiva senza punto di fuga. L’intento è quello di indagare, con rigore, la natura tautologica e "metafisica" della pratica artistica.

La strategia visiva di Paolini riconosce l’arte come struttura linguistica che parla di se stessa. Inoltrandosi nelle categorie di rispecchiamento, ribaltamento e autorappresentazione, ha generato opere come Giovane che guarda Lorenzo Lotto (1967), esempio dell’intensità enigmatica del rapporto fra artista e spettatore, e tra le forme dell’arte. Da oggi va in scena al Museo archeologico nazionale di Napoli con L’ora X. Né prima né dopo, a cura di Anna Mattirolo, un intervento creato appositamente per la sala della Meridiana, al piano superiore del palazzo, incentrato sul tema del tempo. Per l’occasione Paolini presenta anche 12 opere, che come le dodici ore dell’orologio, si rivelano nel loro susseguirsi. Il vuoto a cui questa messinscena teatrale porta viene definito da Paolini «un vuoto che allude a un pieno incalcolabile, indeterminato, dettato dall’inesauribile susseguirsi delle diverse esperienze che danno vita all’avventura dell’arte».

Fino al 18 gennaio, Museo archeologico nazionale, piazza Museo nazionale 19, Napoli.
Info: 081440166; www.archeona.arti.beniculturali.it.

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