La sottile linea rossa. Unfolding Matteo Montani

Caserta

Membrana, velo, pelle, piega, piegatura, pellicola…schermo! Ecco, schermo può essere forse un termine abbastanza adatto a spiegare l’ultima mostra di Matteo Montani dal titolo Unfolding, alla Galleria Nicola Pedana, a cura di Alessandra Troncone.

Schermo è una parola complessa. Secondo gli studiosi Elsaessere Hagener, l’inglese screen deriva dal tedesco scirm, che è diventato Schirm e infine screen, descrivendo degli elementi che possono nascondere o proteggere, ma anche dischiudere e riflettere. Ed è proprio su questo atto di continuo spiegamento (unfolding) che si basa l’operazione di nascondimento/protezione e riflessione/apertura di Montani.

Il bagliore del bianco colpisce non appena si entra nello spazio della Galleria all’interno del quale, una volta entrati, si iniziano a percepire delle figure sulla/nella parete. Sono figure umane colpite come in un istante, le quali, prese a colpo d’occhio tutte insieme, si strutturano come un organismo in movimento. Sono immagini di persone reali che l’artista ha fotografato e che ha inserito/disegnato nella/sulla parete.

La parete della Galleria è così trasformata da tavola sopra cui poggiare degli oggetti a schermo, appunto, a membrana. Sono immagini spirituali che viaggiano su quella sottolinea linea tra visibile e invisibile che caratterizza, e ha caratterizzato, molta arte contemporanea e che l’artista ripropone qui come atto: un atto di protezione e di nascondimento.

Eppure manca ancora qualcosa. Tutto ciò è, infatti,sicuramente vero, ma se si vuole capire fino in fondo il complesso lavoro dell’artista occorre aggiungere un’altra parte: l’altra parte. Come una moneta, il concetto di schermo si articola su due prospettive intrecciate. Ogni nascondimento – dicevamo anche sopra – presuppone un’apertura, un atto di dischiudimento. Un dischiudimento che qui è dato attraverso una particolare tecnica dell’artista.

E cioè per il fatto che le immagini, da appena visibili divengono visibili quando vengono bagnate.E’ qui che si nasconde tutta la spiritualità dell’operazione artistica di Montani. La parete diviene così un mondo ”altro”, la linea sottile di divisione tra visibilità e invisibilità, la linea di congiunzione tra due mondi. Se nella nota formula di Klee, ”L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”’, la spiritualità è concepita spesso come tragedia (”tragedia della spiritualità”), Montani lascia allo spettatore vederne il lato tragico o attrattivo. Nel momento in cui l’artista, come nella performance di inaugurazione, spruzza l’acqua sulla parete, in quel preciso momento, l’artista si fa angelo, semi-dio, svelatore di qualcosa poco visibile a occhio umano, tramutando l’acqua in ”acqua santa”. Fa di un elemento naturale una tecnica, la tecnica di svelamento.

E così la scultura di cera che attraverso il calore, altro elemento naturale, si squaglia divenendo quadro astratto, rappresenta un altro passo verso il ritorno a una invisibilità che caratterizza ogni nostro atto.

Montani rende visibile, spiega, attraverso anche il segno di apertura in mezzo alla parete, quella sottile linea rossa che unisce due mondi e che l’artista, il bravo artista, ha il dovere di far parlare. Esattamente come il filosofo, parafrasando Merleau-Ponty, Montani fa in modo che ”le cose stesse, dal fondo del loro silenzio, vengano condotte all’espressione”.