Fried Eyes

L’arrivo della fotografia nel 1839 per la prima volta nella storia dell’arte pone una domanda capitale: può la tecnologia essere arte? Il problema si ripete identico con il cinema, la video arte, la net art e in generale con quello che ci piaceva definire new media art. Se per alcuni la risposta è affermativa, per molti altri i due mondi sono inconciliabili. Fried Eyes è un evento di casa a Brescia, quest’anno alla sua seconda edizione, strutturato in una serie di talk incentrati sul rapporto fra immagine e nuovi sistemi di rappresentazione. A organizzare gli incontri, il prossimo previsto per il 18 novembre, è Giorgio Mininno, art director di Gummy Industries. «Nei talk – dice – chiedo a dei professionisti di raccontare la propria ricerca visiva in modo facile e con un tono divulgativo. L’obiettivo è riunire in una sala un pubblico misto, fatto di persone che hanno semplicemente voglia di farsi ispirare da nuovi stimoli visivi e idee, provenienti da settori che non conoscono».

Arte-tecnologia, un coppia percepita come antitetica almeno dall’invenzione della fotografia. Con le nuove scoperte, soprattutto informatiche, credi che questo contrasto si sia attenuato, sfumato o sia rimasto identico?
«Nel mondo dell’arte penso che questa antitesi sia sparita, almeno lo spero. Nel grande pubblico invece credo ci sia ancora diffidenza nei confronti delle correnti artistiche contemporanee. Con Fried Eyes sto cercando di parlare in modo semplice anche di questi temi. In uno dei primi talk Giovanni Fredi ha presentato degli artisti che stanno sperimentando con le applicazioni mobile, creando opere direttamente con e per gli smartphone. Essendo oggetti alla portata di tutti, questo argomento non poteva che suscitare grande interesse in un pubblico trasversale».

Non deve essere facile trovare il registro giusto per non banalizzare concetti e contemporaneamente essere seguiti da un pubblico misto.
«Non è per niente facile, ma ci provo, magari facendo storcere il naso a chi questi argomenti li conosce benissimo. Il tono divulgativo è un punto distintivo di Fried Eyes. Ogni volta che invito un ospite gli chiedo di strutturare una presentazione semplice, di non usare parole troppo tecniche e quando l’argomento lo permette di illustrare pochi concetti con tante immagini».

Fried Eyes, seconda edizione, come è andata fino ad ora?
«Bene, i primi due talk di quest’anno sono stati pazzeschi. Nel primo Shinpei Hasegawa e Haruta di Tokyo hanno parlato del mondo dello YAOI, un tipo di manga dedicato a storie d’amore omosessuali. Nel secondo Alessandro Barbieri ha parlato dei progetti di Webdesign più all’avanguardia. Presentando una selezione di siti web con una user experience memorabile. In questo caso è stato interessante vedere in sala contemporaneamente degli artisti, degli sviluppatori e delle persone totalmente estranee al mondo digitale».

Che tipo di pubblico partecipa alle serate?
«C’è una grossa fetta di persone che tornano a tutti gli incontri, proprio perché sono interessate ad approfondire tanti temi diversi. Poi ogni volta c’è invece una parte di pubblico nuovo, interessato a un singolo tema perché parte della propria ricerca personale».

Brescia place to be. Come è diventata un centro attento a internet nel campo artistico e comunicativo?
«Brescia è una città ricchissima di stimoli e di persone forti in diversi settori creativi. Noi in Gummy Industries parliamo di web e comunicazione ormai da 7 anni con una delle conferenze più conosciute in Italia su questi temi, Pane, Web e Salame. Dal punto di vista artistico ci sono realtà come il Link Art Center che porta avanti un lavoro incredibile sulla net art e i nuovi media da tantissimi anni. Inoltre, qui abbiamo una delle più grosse community italiane di sviluppatori, Webdebs i cui membri sono partiti da Brescia creando un’associazione e organizzando eventi, conferenze e workshop per poi arrivare a lavorare in tutto il mondo».

Che poi comunicazione e arte digitale non sono così distanti come sembrerebbe.
«Ricerca artistica e comunicazione soprattutto pubblicitaria si sovrappongono in tantissimi punti della storia dell’arte e il motivo è semplice, sia gli artisti che chi lavora nella pubblicità ha bisogno di creare una rottura con il passato, di sfruttare i nuovi media, trovare nuove idee e nuovi linguaggi. Questo accade anche in ambito digitale e per noi che lavoriamo col web e i social è impensabile non tenere gli occhi aperti sulle nuove correnti artistiche».

Parlaci dei prossimi due incontri di Fries Eyes.
«Questo venerdì Maria La Duca di Illustratore Italiano ci parlerà di come disegnare può facilitarci in tantissime attività lavorative, il tutto mostrandoci tanti tanti esempi di opere italiane. Il 2 dicembre invece Martina Melgazzi, che sta portando avanti una ricerca sull’estetica del cibo, presenterà decine di progetti commerciali e artistici legati al mondo food».

Progetti nel cassetto?
«Esportare Fried Eyes».

Info: Friedeyes.orgwww.facebook.com 

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