L’image volée

Dove finiscono le immagini che rubiamo fisicamente, con gli occhi, con la mente? Dove si reinseriscono? Le ritroviamo nel nostro quotidiano? Lasciano delle tracce? E se sì, queste tracce, sono visibili o effimere sensazioni? Vuoti carichi di un mondo che non c’è più, che sarebbe potuto essere, ma che diventerà, inevitabilmente altro. E cosa? Sono domande che sorgono spontanee dopo aver visto la grande mostra collettiva L’image volée alla Fondazione Prada di Milano, un progetto corale frutto di molteplici collaborazioni: la curatela affidata all’artista Thomas Demand (già presente in Fondazione Prada con l’installazione permanente site specific Processo Grottesco), l’allestimento pensato dallo scultore Manfred Pernice, il cartellone e i manifesti pubblicitari di John Baldessari, il catalogo illustrato completo di due racconti inediti di Ian McEwan e Ali Smith, saggi di Russell Ferguson, Christy Lange e Jonathan Griffin, interventi di Rainer Erlinger e Daniel McClean.  La mostra, che letteralmente si intitola L’immagine rubata, racchiude tra i due piani della Galleria Nord e il Cinema più di novanta lavori di oltre sessanta artisti con lo scopo di indagare le modalità con cui tutti noi ci richiamiamo a modelli preesistenti per realizzare qualcosa di nuovo. L’image volée si concentra sul furto e sull’atto creativo che, inscindibile dal suo contesto, scaturisce da una concatenazione di rapporti fondati sull’accesso collettivo ai materiali visivi. Il progetto evidenzia, quindi, le relazioni sottese alla produzione di opere d’arte e mette in luce affinità fra artisti diversi. Il percorso espositivo, strutturato in base alle diverse modalità operative e legato ad una serie di parole chiave, è diviso in tre sezioni: Literally Stealing (furto vero e proprio), Iconographic poaching (frode iconografica) e Picture that Stel (immagini che rubano).

L’emblematica opera che apre la prima sezione, il contributo di Baldessari alla mostra che fa riferimento a cinque capolavori rubati nel maggio 2010 dal Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, subito fa riflettere sull’oggetto rubato – o mancante – che si trasforma in un vero e proprio corpo del reato. L’assenza del soggetto/oggetto è evocata dalla presenza di cornici vuote o in lavori che evidenziano l’impossibilità di ricostruire la presenza dell’opera (rubata) con la parola e con la memoria. Dall’assenza e dall’incapacità di controllo sulle immagini, si passa ad analizzate le logiche dell’appropriazione vera e proria all’interno del processo creativo rivelando dinamiche temporali nascoste. Nel film Agassi di Anri Sala la fissità dell’immagine e l’evocazione della velocità della pallina in movimento (che non arriva mai) e’ forse rappresentativa di tutta l’essenza della mostra: il lavoro sull’immagine, che è fatto di rimandi, di ciò che appare, ma soprattutto di ciò che sta prima dell’immagine stessa; che sta sotto, dietro, sopra e oltre. E’ un lavoro in tensione e in potenzialità, dove si racchiude, in quell’intervallo, tutta la possibilità espressiva di un’idea. Nel collocare le diverse opere e sezioni della mostra in spazi diversi della Fondazione ci si rende realmente conto di quanto le immagini, se pur diverse tra loro, riescano ad invadere lo spazio e di come chi abita quello spazio ne venga, a sua volta, travolto. Il ruolo dello spettatore viene messo in discussione più volte, soprattutto nella terza sezione della mostra, che affronta la questione della produzione di immagini che, per loro stessa natura, rivelano aspetti nascosti sul piano privato o pubblico, non sempre con il consenso della vittima. La terza sezione si chiude con una mostra nella mostra, curata da un importante designer industriale, e che riunisce veri dispositivi di spionaggio usati dalla DDR e dall’Unione Sovietica per controllare i propri cittadini (e quindi in grado di infrangere le barriere della dimensione privata), disposti secondo la ricostruzone dell’allestimento progettato da Hans Holleinn per il Padiglione Austriaco alla Triennale di Milano del 1968.
Fino al 28 agosto; info: fondazioneprada.org