Non avere paura

La monumentale opera Ritratto continuo mod. 3.375.020.000 video installazione femminile, plurale di Francesca Montinaro racconta l’universo femminile attraverso un enorme video ritratto collettivo di donne; pensata come un organismo vivente che cresce e si trasforma nel tempo. L’opera è portatrice di un forte messaggio sul ruolo e sul senso di responsabilità femminile che, invocato dall’artista e lanciato dalle donne che hanno partecipato, giunge fino allo spettatore che è coinvolto emotivamente a prendere parte al progetto. Nell’istituzionale cornice di Palazzo Montecitorio, sede del Parlamento Italiano, il 24 gennaio, in occasione della manifestazione Montecitorio a Porte Aperte, l’iniziativa della Camera dei deputati che prevede l’apertura del Palazzo al pubblico, è stata presentata l’installazione site specific Non avere paura | Ritratto continuo mod. 3.375.020.000, che presenta nella sua interezza il progetto dell’artista, iniziato nel 2013 e portato avanti fino ad oggi. Su sei monitor, uno per gruppo, si susseguono le oltre 600 donne che l’artista ha coinvolto e incontrato chiedendo di lanciare verso lo spettatore una frase che rappresenti se stessa e la sua condizione esistenziale. L’artista a ogni partecipante ha chiesto di compiere un gesto simbolico: “sporcarsi le mani”, ovvero scrivere sul palmo delle mani una frase come gesto concreto di azione e comunicazione diretta. Spose, donne mussulmane, suore, venditrici door-to-door, “scultrici della parola” e detenute, questa la più recente serie ritratta all’interno del carcere romano di Rebibbia dove l’artista, attraverso un rapporto intenso e diretto, ha affrontato il pregiudizio comune sulle donne carcerate. Le donne, sedute su una sedia girevole sono inizialmente riprese di spalle, poi si girano e, posizionandosi frontali verso l’obbiettivo, mostrano un messaggio, scritto sulle mani. Il messaggio diretto e universale si rivolge all’osservatore invitandolo – di riflesso – ad agire, esprimersi, mettersi in gioco, raccontarsi, prendersi la responsabilità di una decisione. La mostra, curata da Valentina Ciarallo, organizzata e promossa da Giubilarte Eventi, rimarrà visibile fino al 4 febbraio con ingresso libero nel Corridoio dei Busti di Palazzo Montecitorio, dove i video ritratti sono alternati ai plinti con i busti dei protagonisti maschili della storia dell’Italia risorgimentale, post-unitaria e repubblicana, tracciando un ponte fra i personaggi politici più noti, da Garibaldi a Cavour, e le donne che ogni giorno creano la propria “Storia” con gesti e idee tanto comuni quanto rivoluzionari. I ritratti femminili in movimento si trovano dunque a condividere idealmente gli stessi spazi percorsi dalle regine d’Italia durante il Regno, in un virtuale passaggio di consegne ma anche nell’ottica di una continuità storica, richiamando alla memoria le grandi conquiste ottenute dalle donne come il diritto al voto – di cui ricorre nel 2016 il sessantesimo anniversario. I volti delle donne si susseguono nell’installazione ad un ritmo al di fuori del tempo, in modo ciclico e quasi ipnotico, diventano catalizzatori dello sguardo dello spettatore. Non Avere Paura e, come nei cicli esposti in passato (prima alla Gnam di Roma nel 2014, poi Veil of Freedom e I am a Monster), tende ad enfatizzare e ad arricchire la riflessione dell’artista sul femminile, passando dalla percezione di sé, a quella del proprio corpo e dell’autoconsapevolezza delle donne stesse rispetto alla propria immagine. Siamo stati a Palazzo Montecitorio per vistare la mostra insieme all’artista, con la quale abbiamo intrattenuto una piacevole conversazione a proposito del suo lavoro che, di volta in volta, la coinvolge fortemente a livello emotivo.

Da quali presupposti nasce il progetto Ritratto continuo?
«Il mio lavoro inizia da un doppio presupposto, due aspetti che in questo particolare momento storico mi stanno stretti: da un lato, la vanità e l’egocentrismo; dall’altro, la mancanza di un senso di responsabilità da parte dei governi a livello mondiale, che demandano il potere su quelle cose che non gli fanno comodo invece di esercitarlo e agire».

Qual è il significato del titolo dato a quest’opera?
«Il nome dato all’opera racchiude l’aspetto sostanziale. Al di la del numero 3.375.020.000, cifra progresiva e approssimativa delle donne presenti nel mondo, Ritratto continuo significa perdere il rapporto con il singolo a favore della collettività».

Per quale motivo hai scelto di coinvolgere proprio le donne?
«Noi donne rappresentiamo una collettività mondiale perché siamo strette intorno alla ricerca di immunizzarci da un male, ovvero la disparità tra uomo e donna manifestata in violenza, disparità economica e nell’educazione. Come scrive il filosofo Roberto Esposito nei due trattati meravigliosi Communitas e Immunitas il contrario di communitas/cominuità è immunitas e sottolinea come la parola immunitas allo stesso tempo significhi anche, più rigorosamente, immunità. Questo aspetto mi ha fatto riflettere, e mi ha portato a capire che la comunità/collettività delle donne è tenuta insieme dalla comune necessità di trovare l’antidoto ad un virus: l’eccesso di violenza, di iniquità. Tra le tante donne che ho incontrato e conosciuto ricordo cosa mi disse una donna africana quando le chiesi perché avesse scelto di diventare suora. La sua risposta mi ha colpito tantissimo: semplice, perché non mi bastava fare la moglie e badare ai figli. Per lei che non aveva niente, realizzarsi come essere umano e come donna, nel suo paese, significava solo sposarsi, non avere altra scelta. Questo il mio lavoro…Indubbio poi che le donne siano più divertenti grazie alle loro meravigliose sfumature».

Ogni volta che viene mostrato il tuo lavoro fai un a scelta importante e non casuale: per dare un taglio all’esposizione assegnando un titolo da apporre prima del titolo unitario del progetto.
«Io li considero degli accenti, per focalizzare l’attenzione su un aspetto, su una delle tante velature. Traggo ispirazione da quello che le donne decidono di scrivere sulla mano e dai loro racconti. In questo caso Non Avere Paura è emerso dopo l’esperienza che ho avuto in carcere. Fino a quel momento credevo che il carcere fosse il luogo più spaventoso di questo mondo, invece mi sono accorta che non lo è. Sono riuscita grazie a questa esperienza ad abbattere un mio pregiudizio, e ho avuto l’occasione di capire che le donne in carcere si sentono e sono dai più considerate dei mostri. Da qui il titolo della mostra veneziana del 2015, I am a Monster. Anche in questo caso, come per la parola immunitas, monster ha due significati: comunemente per dire mostro ma in realtà la parola deriva dal latino monstrum che significa anche evento stra-ordinario e, noi sappiamo che, per la società, ciò che è fuori dal comune, non ordinario, fa paura».

Per questa nuova esposizione hai scelto un titolo che ti sta particolarmente a cuore.
«Non avere paura è un messaggio molto importante e deriva dalla frase scelta da una suora. Inoltre, questa espressione tiene in considerazione il fatto che il 90% delle donne con cui ho parlato mi hanno comunicato l’urgenza di dire alle altre donne di non avere paura di realizzarsi in tutte le declinazioni che questa parola implica: che sia l’ironia, i propri sogni, l’aspetto fisico, l’ intelligenza».

Quando ti relazioni alle donne cosa chiedi loro?
«Spiego quanto è importante essere se stessi e considerando questo chiedo loro di portare la loro esperienza perché qualunque essa sia è grande. A tutte le donne ho proposto di mandare un messaggio universale anche se partiva da un esperienza personale. Importante ricordare che non siamo tutte uguali, un aspetto ribadito dall’on. Laura Boldrini in occasione della presentazione e come ha scritto anche sulla mano una detenuta, volendo sollecitare la riflessione sul fatto che bisogna rispettare tutti e che il giudizio può essere modificato».

La stessa Boldrini ha definito Ritratto continuo «una grande opera di ascolto – chiedendosi –Come è possibile che ancora oggi la metà della popolazione non goda degli stessi diritti dell’altra metà? Ognuno di noi deve adoperarsi per mettere in atto il cambiamento: in famiglia, a scuola, nella società».
Fino al 4 febbraio 2016, Palazzo Montecitorio – Camera dei Deputati Ingresso: Piazza di Monte Citorio, Roma

 

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