L’arte della felicità

L’arte della felicità. Un titolo toccante che Alessandro Rak, autore e regista napoletano classe 1977, ha declinato attraverso due complementari espressioni artistiche: un apprezzato libro illustrato (Rizzoli Lizard, 192 pagine, 16 euro) e un pluripremiato lungometraggio (prodotto da Big sur, Mad entertainment, Rai cinema e distribuito da Cinecittà luce), «che nascono da una serie di incontri e da esigenze specifiche legate all’universo dell’animazione», spiega. Nella prefazione del volume, Roberto Saviano scrive: «Quando mi sono accostato a queste tavole mi è mancato il respiro. Mi è accaduto qualcosa che non so più fare da tempo: mi sono sentito felice. Affranto e rinfrancato. Ho sentito le lacrime in bocca, sensazione incredibile per me che ho disimparato a piangere». Ed in effetti il lavoro di Rak – che l’autore di Gomorra definisce «un genio del disegno», aggiungendo che «non è un caso che questo capolavoro prenda vita a Napoli, città in guerra da sempre e luogo da cui ripartire» – rappresenta un fulgido esempio di animazione made in Italy, forte di una filosofia e di una poetica davvero toccanti, a spiazzare anche il più algido tra i lettori.

Già, perché L’arte della felicità presenta la storia di Sergio Cometa, tassista partenopeo che, sotto un temporale che di cessare non ne vuole sapere, porta i suoi clienti in giro per la città («ditemi cosa me ne frega a me delle vostre storie, se poi ognuno se ne va per i cazzi suoi. Vaffanculo a tutti quelli che si curano solo del loro fottutissimo orticello, e poi mi vengono a fare discorsi sull’umanità malata»). Una Napoli dove i vicoli e le strade sono mutati nel personale purgatorio di Sergio, un labirinto inespugnabile nel quale l’uomo sembra destinato a vagare (soccombere?) all’infinito da quando la notizia della morte di suo fratello Alfredo, monaco buddista in Tibet, lo ha gettato nella disperazione. Si volevano molto bene, Sergio e Alfredo, uniti fin da piccoli dall’amore reciproco, indissolubile, e dalla passione per la musica («io e te siamo legati. Non so se dall’acqua, dal piscio o dal sangue, ma la nostra felicità è in un vaso solo»). Come la vita insegna, purtroppo le loro strade si sono scisse, proprio perché la ricerca della felicità ha preso due binari diversi («se fossi con me staremmo suonando. Io non sarei un tassista e tu non saresti un cazzo di buddista»).

Dunque, come scrive Saviano, siamo di fronte «alla crisi di un uomo che perde la persona per lui più preziosa: eppure da quella perdita nascerà qualcosa, di sicuro, una nuova possibilità». Il protagonista, infatti, prima si fa trascinare dalla sua auto e dai ricordi, quindi si siede al pianoforte e comincia a realizzare i suoi sentimenti nelle note che pensava perdute. È arrivato, anche per lui, il momento di fare i conti con le scelte di un’esistenza trascorsa a sfuggire la propria realizzazione, a celarsi dietro un muro di orgoglio e di rancore, piuttosto che accettare la propria storia e quella del mondo circostante. Per imparare finalmente a conoscere, o almeno provare a farlo, l’arte della felicità. Un successo, dicevamo, il doppio lavoro di Rak, che gli viene riconosciuto sia dagli addetti ai lavori sia dagli appassionati («ad imbarazzarmi è soprattutto il riscontro del pubblico», riconosce). Un ottimo risultato che, almeno questo è l’augurio, potrebbe replicare grazie al nuovo progetto al quale sta lavorando con Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone. «Si tratta della regia di un lungometraggio animato, Gatta cenerentola. La vicenda è ambientata in una Napoli futuristica, ed è una versione aggiornata dell’opera teatrale omonima portata sulle scene da Roberto De Simone quarant’anni fa, a sua volta adattamento di uno dei racconti di Giambattista Basile», spiega Rak. Un autore che – come scrive Saviano – «coglie tutto, anche il minimo dettaglio».

Info: www.rizzolilizard.eu