Parla Fabio Mollo

Amman (Giordania)

Prosegue il suo viaggio attraverso festival e riconoscimenti l’opera prima, Il sud è niente, di Fabio Mollo, docente Rufa. La sua tappa più recente è stata segnata dalla proiezione all’interno dell’Italian Film Days di Amman promosso dall’ambasciata italiana ad Amman, in occasione del semestre italiano di presidenza europea. La rassegna che si è appena chiusa è stata accolta con entusiasmo e grande partecipazione dal pubblico della capitale giordana. Nella serata conclusiva, abbiamo incontrato e intervistato il giovane regista giunto ad Amman in occasione della presentazione del suo film d’esordio. Il suo debutto cinematografico racconta della sua terra, della sua Calabria, attraverso i silenzi di Grazia, diciottenne virago che percorre il faticoso cammino di elaborazione della perdita dell’amato fratello Pietro.

Il sud è niente è in viaggio, in giro per il mondo, da un anno e mezzo. Quali sono state le soddisfazioni maggiori? «Sicuramente l’anteprima mondiale al Festival di Toronto e le anteprime europee al Festival di Roma e al Festival di Berlino sono state grandissime soddisfazioni. Il nostro è un piccolo film low-budget, fatto da esordienti: non solo io, ma tutta la troupe e anche gli attori, ad eccezione di Vinicio Marchioni e Valentina Lodovini. Ricevere quindi l’attenzione di festival cosi importanti è stato motivo di grande orgoglio. Non avrei mai immaginato che una storia cosi locale potesse viaggiare cosi tanto nel mondo, Tokio, qui ad Amman, San Francisco. Le emozioni più preziose e inattese sono state però quelle vissute in Calabria, il pubblico è stato di grande supporto. I cinema in Calabria sono ormai pochissimi, così le persone hanno pensato di condividere le emozioni del film proiettandolo nelle piazze, o sulle pareti di case abbandonate, tutto questo è stato molto emozionante».

Sono forse le emozioni la chiave che ha aperto le porte di festival così importanti, ma anche molto diversi tra loro per tradizione e scelte artistiche? «Assolutamente credo di sì, credo che le emozioni siano la chiave. Quando abbiamo presentato l’anteprima mondiale a Toronto ero terrorizzato e pensavo: che cosa mai arriverà al pubblico? Che cosa ne sanno del pesce stocco (stoccafisso nda) e di Reggio Calabria? Finta la proiezione il pubblico era commosso, in quel momento ho capito che era l’emozione quella che arrivava e che accompagnava la storia anche nei momenti più difficili di comprensione culturale».

Il titolo, eloquente e provocatorio, ha una sua storia nella storia, ce ne parla? «Nonostante da molti sia stato giudicato scomodo, anti-pubblico e anti-pubblicitario, abbiamo lottato per mantenere il titolo originale. È il manifesto della rassegnazione a cui siamo stati educati a sud. Per me era importante partire da quella mentalità che vuole che il sud sia niente, per provare a raccontare come invece le nove generazioni sono impegnate a scardinare e ribaltare questa mentalità. Il titolo provoca una risposta ed è perfettamente in linea con lo scopo del film stesso, quello di innescare una reazione».

Come è diventato regista, qual è stato il suo percorso? «Se nasci a Reggio Calabria fare il regista non è esattamente la prima cosa che ti viene in mente. Volevo fare il giornalista inizialmente, mi sono laureto in scienze politiche in Inghilterra e poi mi sono innamorato del cinema. Ho fatto i primi tentativi e sono entrato alla scuola nazionale di cinema di Cinecittà, che è stata la cosa che ha dato struttura alla mia formazione. Subito dopo è iniziata la gavetta: ho fatto l’assistente alla regia per tanti anni, ho portato caffè e pulito pavimenti, ho lavorato per altri e poi pian piano sono arrivate le prime esperienze».

Se dovesse scegliere chi ringraziare per i consigli e gli insegnamenti ricevuti durante la gavetta? «I titoli di coda del film sono lunghissimi proprio per i ringraziamenti: sicuramente i miei compagni del centro sperimentale sono stati dei grandissimi insegnanti; tutti i debuttanti del film sono stati anche miei compagni del centro, fare il percorso con loro in questi anni mi è stato di grande insegnamento. A questi aggiungerei i registi con cui ho lavorato, loro mi hanno insegnato il lavoro duro sul set e lo spirito di sacrificio».

 

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