Metamorphosis – Daniel Lee e Roger Ballen

Shanghai

Ocat, il Contemporary art Terminal di Shanghai presenta la mostra MetamorphosisMirror, a double solo show by Daniel Lee and Roger Ballen, curata da Lian Zhiping e Mariagrazia Costantino. Si tratta del primo progetto dedicato interamente al lavoro di due grandi fotografi. I due artisti prediligono un’inclinazione al grottesco e sono molto concentrati sullo studio dello spazio mentale e fisico dei confini, la frontiera tra gli uomini e l’ambiente che li circonda.
Daniel Lee (1945) ha vissuto a New York per lungo tempo prima di trasferirsi a Taiwan, un territorio molto segnato dai problemi politici e sociali vissuti dalla regione in tempi molto recenti. Le sue fotografie rientrano pienamente nel concetto di metamorfosi, una parola, del resto, usata da lui stesso per descrivere il processo alla base della sua ricerca. Il suo linguaggio, infatti, può essere collocato tra il bestiario medievale, la cultura tradizionale cinese e le teorie evoluzioniste di Darwin con tutti i loro discutibili aspetti. I soggetti di Lee, presentati nei suoi lavori (installazioni e animazioni tratti dalle serie Manimals (1993), Fate (1995), 108 Windows (1996), Origin (1999), SelfPortrait (1997), Nightlife (2001), Harvest (2004), Dreams (2008), all’inizio mettono in discussione la propria essenza, per poi riaffermarla. Il significato più intrinseco di tale essenza nasconde l’appartenenza al cosiddetto regno animale. L’universo di Daniel Lee evoca l’assurdità giocosa di Hieronymus Bosh e l’allegoria dei pittori olandesi. Ma nonostante ciò la prerogativa di Lee resta l’investigazione del liminale, che lui rende visibile nelle sue invenzioni digitali.

Roger Ballen (1950) dopo aver lasciato gli Usa si è radicato a Johannesburg, in Sudafrica,negli anni Settanta. Dopo un lungo viaggio in estremo Oriente, Ballen vi si stabilì. I suoi lavori esposti all’Ocat sono presi dalle prime serie quali Dorps, Platteland, Outland, Shadow Chamber e Boarding House, inclusa la recente Asylum of the birds. Per lui i posti fisici e i territori coincidono con un regno psicologico. In tutte le sue foto un luogo stroncato dalla bellezza della natura e la furia della società generata da culture sovrapposte è intenzionalmente esotizzata in un modo critico e ironico, con lo scopo di rimuoverlo da ogni possibile incapsulamento narrativo. Non a caso, Ballen dice dei suoi lavori: «Vedo le mie foto come specchi, riflettori, connettori che sfidano la mente».

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