Se in fondo a sinistra c’è la diccì

Dopo essersene andato a febbraio, vittima del solito male incurabile, la buonanima di Gianni Borgna ha avuto modo di finire sugli scaffali con un pamphlet: Senza sinistra (Castelvecchi, 117 pagine, 12 euro). Un opuscoletto dove in un pugno di pagine si raccontano i mali della sinistra e, come dice nella prefazione Giacomo Marramao, «le logiche di apparato e di occupazione del potere [che] hanno trasformato la “Cosa” postcomunista in un partito di governo dal profilo essenzialmente moderato». È dunque un breve excursus, ma esaustivo, quello che l’ex dirigente del Pci e assessore alla Cultura del comune di Roma sotto le giunte Rutelli e Veltroni compie nel suo partito, dalla svolta della Bolognina che consacra Achille Occhetto ultimo segretario del Partito comunista italiano e (mancato, in un primo momento) primo segretario del Pd, all’arrivo di Matteo Renzi alla segreteria del Pd (non ancora alla guida del governo), passando per le circonvoluzioni politiche del Pds e dei Ds, con una sostanziale continuità dei gruppi e delle politiche dirigenti fino all’arrivo del rottamatore. Un percorso che mette in luce, accanto ai semprenoti che si accavallano alla guida di quel che resta del più forte partito comunista occidentale, la continuità di una prassi politica sostanzialmente imbelle. Se ripeschiamo ora il libricino è perché intanto non ne abbiamo parlato a suo tempo, e poi per la conferma delle tesi del suo autore a pochi mesi dalla scomparsa, viste le larghissime intese a base di papocchi dall’interno della stanza dei bottoni di nenniana memoria.

Non fa sconti, Borgna, ai suoi ex compagni di partito, tranne qualche nome – Occhetto, Rutelli – che sinceramente non appare meno di altri responsabile dello sfascio della sinistra italiana e della sua deriva centrista. Rosicchiato al suo interno, l’ex Pci si è trasformato nel suo ex rivale storico: quella Dc che, mutatis mutandis, mette volti nuovi nei panni di sempre. Senza neppure abbozzare quell’approdo riformista e, se vogliamo, socialdemocratico che pure sarebbe stato possibile con un ceto dirigente meno succube alle parole d’ordine del veteroliberismo dilagante. È quindi un pamphlet sulle occasioni mancate della sinistra quello abbozzato da Borgna negli ultimi mesi di vita, passando per oscuri e noti passaggi, dalla svolta dell’89 alla rivoluzione conservatrice che ha sedotto i nipoti di Togliatti, con la fides verso la dittatura dei mercati e il mito della globalizzazione.

Di qui le sue tante anomalie, a partire dalla sua incapacità a tenersi unita (e qui Borgna ricalca la vulgata dello schiaffo a Prodi dato da Rifondazione per mero masochismo, piuttosto che per dissonanza con un governo di guerra sociale ed esterna) e alla pervicace incapacità di prendere atto della realtà. Vale a dire che solo leggi maggioritarie più truffaldine della legge Acerbo possono consentire alla sinistra di governare un paese dove solo un terzo dei suoi elettori la votano. Di qui la sua terza anomalia, quel voler governare a dispetto di tutto e soprattutto dei suoi referenti storici, dimentica degli interessi di quella che un tempo si sarebbe detta classe operaia come di qualunque altro ceto produttivo, attenta alle insulse primarie più che a governare i processi reali. Ossessionata dalle regole ma allo stesso tempo pronta a derogare alla magistratura il compito di sbarazzarsi degli avversari, impregnata alla stregua degli altri partiti di frasi a effetto e vuoti nonsenso, in un processo di spettacolarizzazione personalistica della politica che fa il paio con la sua banalizzazione.

Uscire dal pantano di questa sinistra, incapace di muovere un passo nella direzione di fuoriuscita dalla crisi globale che non sia nelle logiche della rockfelleriana Trilateral, si può, secondo Borgna, a patto di avere più politica e più sinistra, o almeno una politica di sinistra. Ma questo, temiamo, sia un augurio impossibile da realizzarsi a meno d’un miracolo che nessuno vede profilarsi all’orizzonte. Tantomeno da parte di questa sinistra o sedicente tale. Così, senza sinistra – una pars politica che sia tale nelle pratiche dell’agire e della rappresentanza – si è destinati a restare ancora a lungo, a dispetto dei desiderata di uno dei suoi interpreti più colti e intellettualmente onesti ma forse troppo interni alle logiche di apparato per poterne cogliere appieno disvalenze e malfunzioni. E dunque per prefigurare il superamento dell’orizzonte storico di una sinistra che continua a essere confusa con l’ex Pci.

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