Who art you? Le interviste

Dopo avervi raccontato la serata, dopo avervi mostrato le immagini, ora passiamo alle interviste con i vincitori della terza edizione di Who art you? Il contest artistico promosso da NoLab. Video, fotografia, pittura e scultura sono le quattro sezioni con altrettanti vincitori. Abbiamo cercato di capire quali erano le ispirazioni degli artisti e i loro modelli di riferimenti (creativi o meno) e loro hanno risposto rivelando la poetica di base dei loro lavori, sono saltati fuori nomi come Bill Viola, Ed Ruscha, Candida Hoffer e Duane Hanson. Insomma, eccoli qui: due domande a testa con il lavoro vincitore al lato.

ALESSANDRA BIANCHI, Elemento primordiale, Video

Il video vincitore, Elemento primordiale, sembra dividersi in due parti: la prima più reale, la seconda più astratta. Come mai una scelta del genere?

«Si tratta di una evoluzione casuale del progetto. La scelta è scaturita naturalmente durante il montaggio delle immagini. Ci troviamo difronte ad un soggetto unico che ha subito un processo evolutivo, dove nella prima parte si manifesta come un individuo, privo di categorizzazioni, più tangibile, forse più affine a chi osserva il video, mentre nella seconda c’è quasi un sua smaterializzazione per divenire un elemento ciclico e riadattabile al tutto. Durante il montaggio, spesso, riplasmo il materiale video che ho acquisito e creato, come se fosse una seconda regia. Infatti, nella seconda parte è come se la fisicità appena osservata, divenisse liquida, ritornasse alla sua valenza primordiale di essenza vitale, che si perde in un utero acquifero, disancorandosi dalle leggi imposte ad ogni elemento. Le due parti sono complementari, dove la prima è sempre necessaria alla seconda per poter descrivere l’ellissi della sua natura».

L’acqua in un video riconduce subito a Bill Viola. Quanto ti ha influenzato, se l’ha fatto, l’artista statunitense?

«Credo che Bill Viola sia una delle colonne portanti della video-arte contemporanea, conosco i suoi lavori e lo seguo da diverso tempo, ma nel caso di questo video, la mia scelta è scaturita da una riflessione personale. Quando penso a molti dei miei soggetti, immagino i diversi lavori circondati dall’acqua, poiché credo che sia l’unico elemento naturale dove sia possibile rallentare il tempo, dove ogni singolo elemento da noi immaginabile possa acquisire una nuova valenza, riscoprendo il suo valore primordiale. Dopo tutto, la nostra vita scaturisce proprio da questo elemento, l’acqua che è mutevole e capace di vivere in tutti gli stadi naturali della materia: liquido, solido e gassoso. La mia scelta deriva proprio da queste considerazioni, dato che l’Elemento Primordiale cardine è proprio l’acqua, capace di mostrarci le molteplici sfaccettature di un intero, di ridurre in frammenti un elemento unico lasciandolo intatto. Di percorrere il suo ciclo lasciandolo immobile».

LUCA MATTIA MINCIOTTI, Gas station N 9, Fotografia

L’opera vincitrice, Gas station N9, è stata etichettata come Hoferiana. Dato il tema trattato, possiamo avvicinare il tuo lavoro alle fotografie dei coniugi Becher e in generale quanto la scuola di Dusseldorf ti ha influenzato?

«Il paragone è di certo lusinghiero e l’accostamento al lavoro dei Becher sta forse più nelle intenzioni che nelle modalità; di certo la scuola di Dusseldorf ha avuto e continua ad avere tutt’ora un’influenza molto forte nel mio modo di concepire un progetto fotografico, ma in Gas Stations in particolare, il rigore formale e compositivo proprio dell’oggettività della lezione dei Becher lascia spazio al tentativo di instaurare un rapporto empatico con lo spettatore. Questi scatti infatti raccontano quelle architetture del movimento che, nate in risposta ad una esigenza sempre maggiore di mobilità, con la loro massiccia presenza e ripetitività caratterizzano il territorio non solo metropolitano. Sono luoghi funzionali destinati alla sosta breve, strutture che non dialogano con il contesto in cui sono inserite, ma che – soprattutto di notte, con le loro luci sfavillanti – si mostrano come specchi di loro stesse. Nella maggior parte dei casi vengono percepite distrattamente e nell’immaginario collettivo sono considerati quasi dei non luoghi. Il mio lavoro, attraverso anche una precisa ricerca estetica, cerca di portare alla luce un fascino che forse non esiste, ma che di certo non lascia indifferente chi guarda, mostrando queste strutture sotto una luce diversa e, magari per la prima volta, suscitando anche con un pizzico di interesse».

Gas Station N9 fa parte di un progetto fotografico più grande, come è nata l’idea del soggetto che sembra ricordare Ed Ruscha?

«L’idea è nata da una suggestione: per Ruscha le Gasoline Stations sono l’emblema di un viaggio che da Los Angeles, dove viveva, lo riportavano ad Oklahoma City, dove era cresciuto; per me rappresentano il simbolo di una tappa obbligata per milioni di persone ogni giorno. Il soggetto non è di certo nuovo: dai dipinti di Hopper agli scatti di Ruscha, passando attraverso molti altri, l’opera di questi artisti testimonia l’interesse verso questi luoghi e l’ispirazione che possono suscitare. Il fascino maggiore, per me, questi elementi lo esprimono di notte, quando privi dell’elemento umano e delle auto, si presentano nella loro nuda realtà come in perenne attesa. La cosa interessante di questo lavoro è che è in continua espansione: alcuni dei distributori fotografati oggi non esistono più, poiché sostituiti da nuove strutture o addirittura chiusi per cessata attività; queste foto spero possano essere una testimonianza sulle architetture della mobilità in un futuro in cui, l’evoluzione dei trasporti, avrà reso questi luoghi inutili ed obsoleti».

MELOQUEZ, Quadro 15, pittura

Possiamo dire che Quadro 15 sembra il risultato di una ricerca basata più sull’illustrazione che sulla pittura?

«Il mio linguaggio artistico, in effetti è il connubio della pittura e dell’illustrazione. Il mio lavoro parte dall’osservazione delle stampe e delle architetture della moda, unendole ai colori della mia cultura natale. Tutte le mie opere passano per questo processo per finire incapsulate nella resina che dona un effetto di atemporalità al soggetto».

Unico artista ad essersi aggiudicato due premi, cosa ti aspetti da questi riconoscimenti?

«Sono molto onorato di aver ricevuto due premi. Spero che questi riconoscimenti mi diano l’opportunità di far conoscere a un pubblico sempre più ampio la mia opera e tutto questo, soprattutto, mi sprona a continuare, con più energia, la mia ricerca artistica».

GABRIELE PACE, Stuck, scultura

Un anziano signore su una sedia a rotelle con le ganasce. Ironia o denuncia sociale?

«Ovviamente entrambi, anche perché a mio parere l’ironia presuppone sempre l’esistenza di una polemica pressoché nascosta, senza tale non si chiamerebbe così, ma semplicemente humor. Nelle mie opere cerco spesso di inserire un pizzico di denuncia dietro un velo più o meno spesso di ironia, ed è così anche in Stuck, anche se questa volta non me la sento tanto di definirla sociale».

Simile per risultato al lavoro di Duane Hanson. Condividi con l’artista statunitense anche la poetica di base incentrata su solitudine e spaesamento?

«Duane Hanson è indubbiamente uno degli artisti che stimo maggiormente, ed anche se ho sempre cercato di non rifarmi al lavoro di altri, non posso negare di averne subito una certa influenza. Solitudine e spaesamento, oltre ad essere ottime fonti d’ispirazione, sono sicuramente concetti che condivido pienamente, ma forse (e sottolineo “forse”) non abbastanza da considerarli la mia poetica di base».

Info: www.whoartyou.net