Belle parole, parole belle

Dobbiamo sempre ricordarci che il principio di ogni gesto artistico è il nulla, sia esso il blocco informe di marmo o la tela bianca. Ogni epoca ha cercato di coprire quell’ignoto a suo modo, nelle maniere che più, inconsciamente o meno, rappresentavano l’allora contemporaneità. Ok, c’è stato un momento nella storia dell’arte nel quale si è deciso di superare la pagina bianca non più disegnando o scrivendo ma scrivendo e disegnando contemporaneamente sullo stesso piano, così non più bianco. Stiamo parlando della poesia visiva, fenomeno (quasi) esclusivamente italiano appartenente (anche se ingiustamente) a un genere ancora più grande classificato come poesia concreta. Possiamo dare un inizio, fittizio come ogni principio cronologico, al movimento: 1963 e una città: Firenze dove grazie a personaggi come Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Mirella Bentivoglio, Michele Perfetti nasceva la fusione fra parole e disegni. Posto il 1963 come data d’inizio della poesia visiva, possiamo dire che nel 2013 ricorrevano i cinquant’anni. Con qualche mese di ritardo (ma è sempre un piacere) Fano a palazzo Corbelli celebra il movimento con una mostra curata da Valerio Dehò e intitolata Belle parole dove mai nome fu più appropriato.

L’esposizione è riassunta perfettamente nel titolo che riesce a racchiudere il senso ultimo del movimento: parole belle, parole belle esteticamente parlando, parole che stanno bene insieme visivamente e dove il significato se non passa in secondo ordine poco ci manca. Anzi, a dirla tutta è proprio questa la differenza fra la poesia concreta e quella visiva, due correnti simili che spesso vengono confuse. Se nella corrente concreta tutta l’attenzione è riposta nel significante e di come si articola nello spazio, in quella visiva a questo si aggiunge anche il significato che assume pari valore della parola non più intesa come solo segno grafico. Citare i nomi dei presenti nell’esposizione di Fano sarebbe lungo e noioso, interessante è invece mostrare come il percorso parta dai primi esempi di poesia concreta internazionali, notoriamente sudamericani, e passando attraverso al poesia visiva approdi alle recenti prove della poesia sonora. Quest’ultima sembra infatti la naturale destinazione di una ricerca artistica incentrata sulla parola per sua natura prima di ogni cosa suono.

Trovare chi in qualche modo ha anticipato i temi della poesia visiva non è missione difficile. Apollinaire conquista un posto di primo piano anche solo per la sua il Pleut dove le parole del componimento cadono come gocce d’acqua alla base del foglio in un movimento verticale e traverso che ricalca la pioggia spostata dal vento. Posto altrettanto importante spetta ai futuristi che con le loro parole in libertà sono stati fra i primi a liberare la scrittura da un significato e considerarla nella sua duplice valenza di forma grafica o sonora. Sia come sia sembra che lo scopo di tutta la poesia concreta o visiva sia trovare la risposta a una domanda: veramente in principio era il verbo?

Fino al 28 giugno; palazzo Corbelli, via arco di Augusto 47, Fano

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