Pistoletto al Maam

«Il terzo paradiso è formato da tre cerchi che sottolineano l’importanza del concetto di durabilità. Il simbolo dell’infinito è la rappresentazione di una continua fuga, il presente che si trova nell’incrocio dei due cerchi è attorniato da questo dualismo che si innesca tra la vita e la morte. Ho inserito il terzo cerchio affinché possa unire il prima della vita e il dopo della vita, il terzo cerchio rappresenta la durata. Oggi scopro questo bisogno di fare, di costruire noi stessi».Le parole di Michelangelo Pistoletto raccolte dinnanzi all’installazione site specific dell’artista Micaela Lattanzio costituiscono il preludio per raccontare l’evento che ha celebrato negli ambienti del Metropoliz, un luogo fuori dall’ordinario, lo spirito della seconda edizione del re birth day.

Il Maam, acronimo del museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz, sotto la curatela di Giorgio de Finis, ideatore di questo contenitore artistico, ha accolto nei suoi suggestivi ambienti più di settanta artisti che con i loro apporti espressivi hanno dato vita a una giornata dedita alla genesi di una grande opera d’arte collettiva, frutto di condivisione di un luogo che è innanzitutto uno spazio di vita e di comunione grazie allo scambio che di volta in volta viene siglato tra gli abitanti dell’ex fabbrica occupata e gli artisti coinvolti in questo ambizioso progetto. Numerosi sono i contributi che hanno vitalizzato questa giornata eccezionale: le opere di Jacopo Mandich, Germano Serafini, Pasquale Altieri, Massimo Attardi, Sara Bernabucci, Giorgio Bevignani, Marco Casolino, Elio Castellana, Paolo Consorti, Corn79, Mauro Cuppone, Stefano D’Amadio, Massimo Festi, Giovanni Gaggia, James Graham, Susanne Kessler, Salvatore Mauro, Veronica Montanino, Mrfijodor, Mr. Klevra, Matteo Peretti, Francesca Romana Pinzari, Carlo Prati, Giulio Vesprini, Gio Pistone, Nicola Alessandrini, Francesco Petrone, Alessandro Ferraro, Claudia Quintieri, Lara Pacilio, solo per citarne alcuni, sono pietre incastonate all’interno di un tessuto post industriale in cui poter scovare una dimensione frutto di interazione creativa unita alla volontà di edificare uno spazio che sia in prima istanza l’essenza del concetto di comunione.

Partendo proprio dall’idea di comunione Franco Losvizzero, lo scorso ottobre, ha deciso di rinchiudersi per undici giorni all’interno di una stanza del Metropoliz tessendo in questo modo dei rapporti esclusivi con gli abitanti del luogo, la scelta di suggellare con due opere donate al Maam questa esperienza artistica e sociale è una delle immagini chiave dello spirito che anima questo museo dell’altro. Losvizzero, durante il re birth day, ha proposto al pubblico una sua performance accompagnato dalla suggestiva musica di Ottomano e Cristiano Petrucci in cui, grazie all’utilizzo del fuoco, ha dato vita a un dipinto costruendo la composizione attraverso il ritmo incalzante del suono, sotto lo sguardo delle persone che hanno assistito a questa avvincente esperienza.

Tra le installazioni proposte l’opera di Francesca Mariani è la sintesi di uno studio a metà tra antropologia e ispirazione artistica. Mana, questo il nome dell’intervento, nasce sotto l’auspicio di una stretta collaborazione tra gli abitanti dell’ex fabbrica occupata e l’artista. Numerose persone hanno donato un oggetto privato che la creativa ha racchiuso in barattoli di vetro, in questa dispensa della memoria, che si colloca vicino la mensa di Metropoliz, vi è un senso vitale poiché ogni oggetto raccolto testimonia l’esistenza di una simbolica mappa che narra le vicissitudini di una città nella città che si nutre della sua storia meticcia di preziosi e piccoli scrigni da conservare e custodire.

Nella genesi collettiva del linguaggio gli interventi di Maurizio Savini, Ottavio Celestino e Riika Vainio propongono una riflessione sulle dinamiche di gruppo e la comunicazione interpersonale. Arena, titolo del progetto artistico, diviene lo spunto per comprendere cosa si cela dietro l’identità e il conflitto. Un tavolo da ping pong separato da un muro di legno è la metafora esemplificativa di come le ostilità internazionali possano essere percepite come scontri linguistici. L’incomunicabilità genera incomprensione, diffidenza, sospetto, è nell’accesso al significato che i muri svaniscono innescando un processo di interazione reciproca. Nel tessuto dell’altrove l’unicità è il segno peculiare, la cifra stilistica predominante che accompagna ogni singolo intervento come ad esempio l’accensione di un focolare in terra cruda progettato dalla collettiva Geologika, in un contesto avulso da qualsiasi tipo di classificazione il fango diviene strumento e mezzo elettivo per generare luce simbolo di trionfo implacabile sulle tenebre.

Il Maam ha celebrato, nel giorno della rinascita proclamato da Pistoletto, l’eccezionalità di un organo connettivo di espressione veicolare. Nel 1927 Fritz Lang presenta al pubblico la sua celebre e conclamata opera cinematografica intitolata Metropolis, ritornano alla memoria le parole del film che descrivono in modo perfetto il tessuto del Maam: “Tra la mente che crea e le mani che costruiscono ci deve essere qualcosa. E’ il cuore che deve unire le due cose”. Metropoliz è il frutto di menti lucide e mani sapienti, il cuore è il fulcro portante di questo ambizioso progetto, l’organo vitale di un luogo che è dimensione pulsionale dove si struttura la realtà di un nuovo linguaggio in cui l’identità dei luoghi si intreccia a quella di chi li abita.

Foto Luca Carlino

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