Cento anni di follia pratica

Piero Fornasetti credeva che le cose avevano una vita o che avevano tutto il diritto di averla o che bisognava dargliela, pensava, e questo è certo, che le cose non erano semplici cose. Giusto per fare un esempio: nella sua casa, in un salone, accanto a un tavolo c’è una sedia. L’oggetto di legno però è una chitarra e a guardarla bene non si capisce se è una chitarra che assomiglia a una sedia o una sedia a forma di chitarra. “Quando le cose mi cadono dalle mani, non è colpa mia, è colpa delle cose” scriveva Tonino Guerra e per Fornasetti il verso non ha niente di strano, le cose in qualche misura vivono. Anzi, spesso sfuggono al controllo di chi le ha create e si piantano in testa come un’ossessione senza sfumature. Fornasetti, per dirne una, ha realizzato 500 variazioni sul volto di una donna, cinquecento. In principio era solo una faccia disegnata sulla carta, poi è diventata un’incisione che si è andata a stampare in ogni dove e in tutte le forme che poteva coprire: dalla maioliche per il bagno alle ante di un armadio in legno. Stando a quanto scrive wikipedia, Piero era: pittore, scultore, decoratore d’interni, stampatore di libri d’arte, designer e creatore oggetti, di scenografie e di costumi, organizzatore d’esposizioni e iniziative a livello internazionale e italiano.

Aveva cominciato un po’ come tutti gli artisti con l’accademia delle Belle arti di Milano dove viveva ma dopo neanche due anni è stato cacciato. «Sono stato espulso dalla scuola. Da Brera. Non mi insegnavano quello che volevo imparare. Non insegnavano il disegno dal vero, disegnare il nudo» ha detto. Lascia agli artisti (o presunti tali) l’avanguardia e i suoi voli pindarici per iscriversi alla scuola superiore d’arti applicate e dell’industria dove matura quell’amore che lo differenzia da molti dei suoi contemporanei per l’artigianato, passione così forte tanto da arrivare a dire «non c’è confine tra l’artigianato e l’opera d’arte. È tutto opera d’arte». È il 1923 l’anno della cacciata e dodici mesi dopo partecipa alla sua prima triennale di Milano presentando foulard stampati. Inutile stillare una lista degli oggetti da lui creati, spesso in un unico esemplare, forse è sufficiente ricordare che se ne contano circa 11mila a sua firma. Fondamentale nella sua carriera il rapporto professionale e d’amicizia stretto con Giò Ponti conosciuto in occasione di un’altra Triennale, l’ottava, che apre le porte alle pubblicazioni cartacee di riviste specialistiche come Domus e Stile. Fornasetti con la sua dedizione al lavoro ha contribuito a creare quel mito tutto italiano del design che secondo l’artista doveva rimanere come nelle sue intenzioni iniziali produttore d’oggetti d’elite ma a prezzi accessibili «la situazione si è invertita è diventato sì il buon disegno, il più delle volte, ma ad alto prezzo. Per un’elite. Allora è sbagliato».

La Triennale di Milano presenta una retrospettiva dell’eclettico creativo in occasione dei cent’anni dalla sua nascita. Il percorso della mostra è diviso in tre sezioni: che indagano sulla sua vocazione di pittore, la sua esperienza di stampatore di libri d’artista per De Chirico Manzù e Sassu subito dopo la seconda guerra mondiale e il periodo creativo con la collaborazione di Giò Ponti. È stato proprio questo suo essere uno sperimentatore di tecniche, forme e materiali a relegarlo come figura marginale nel panorama artistico a lui contemporaneo dominato dall’architettura razionalistica che contrastava con la sua vulcanica produzione. In mostra vengono così presentati più di settecento pezzi ora di proprietà del figlio Barnaba Fornasetti che oltre ad essere curatore dell’esposizione continua l’attività paterna riproducendo alcuni dei suoi pezzi più famosi e interpretandone degli altri, il tutto all’insegna di quella tradizione artigianale che gli è stata insegnata dal padre.

Fino al 9 febbraio; Triennale, viale Alemagna 6, Milano; info: www.triennale.it

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