La crisi della cultura

Roma

Ci si aspettava decisamente di più dal ministro dei Beni culturali Massimo Bray di fronte alle drammatiche cifre snocciolate questa mattina in Campidoglio da Federculture, alla presentazione del rapporto annuale sulla cultura relativo all’anno 2013. Cifre che raccontano il declino di un settore e a fronte delle quali Federculture, con il suo presidente Roberto Grossi, ha tracciato alcune proposte concrete ed estremamente interessanti. Ma da parte di Bray un secco e arido accenno alla complessità della materia e alle confortanti intenzioni del suo dicastero. Nessun accenno alla detraibilità delle spese culturali delle famiglie e dei privati, nessun riferimento alla scarsità delle risorse elargite dal ministero dell’Economia e alle strategie per ottenerne di più, che pure sono stati temi centrali del dibattito. Solo un invito accorato a creare un sistema che coinvolga tutti gli operatori culturali e un appello a investire di più per la formazione dei dipendenti del Mibac: «Abbiamo appena 1,60 euro l’anno per la formazione di ogni dipendente del ministero dei Beni Culturali – ha detto – rispetto al bilancio di 4 miliardi di euro del ministero francese, il Mibac riceve solo 1,5 miliardi di euro l’anno. Pochi dicono però che il costo totale per la formazione di tutti i suoi dipendenti è di soli 30mila euro l’anno, ovvero 1,60 euro per ogni lavoratore. Questa è una vergogna». L’aspetto più vergognoso della giornata di oggi, in realtà, emerge dal rapporto annuale presentato da Federculture.

Dal 2008 a oggi il settore culturale ha perso circa 1,3 miliardi di risorse per effetto del crollo della finanza pubblica, statale e locale; il budget del Mibac nel 2013 è sceso a 1,5 miliardi di euro, perdendo il 27% da dieci anni a questa parte. Lo scorso anno, poi, si è registrato il primo calo dopo oltre un decennio di costante crescita: a fronte di un incremento del 25,4% tra il 2002 e il 2011, nel 2012 la spesa per cultura e ricreazione delle famiglie italiane segna un – 4,4%. Solo da parte dei comuni, spiega il rapporto, in un anno è stato tagliato l’11% delle risorse, mentre le sponsorizzazioni private destinate alla cultura scendono nel 2012 del 9,6%, ma dal 2008 il calo è del 42%. Le ripercussioni del crollo di investimenti e della spesa culturale investono in primis il turismo. Se infatti a livello mondiale gli arrivi internazionali nel 2012 raggiungono la cifra record di un miliardo, in Italia aumentano solo del 2,3% i viaggiatori stranieri, le nostre città perdono competitività turistica e il paese nell’insieme perde attrattività. Ma quello che preoccupa di più sono le graduatorie rispetto ai nostri competitors europei e non solo. L’indice che lo testimonia è l’indice sull’incidenza degli investimenti in cultura sulla spesa pubblica: in Italia è dell’ 1,1% mentre in Francia è dello 2,5%, nel Regno Unito lo 2,1%, in Romania il 2,7% e in Lettonia il 4,2%. Non solo, le nostre bellezze artistiche non reggono il confronto con altre realtà internazionali: i cinque musei principali statali di Londra attraggono 26,5 milioni di visitatori l’anno, cioé il 73% degli ingressi totali nei nostri 420 istituti statali tra musei, aree archeologiche e monumenti.

Le soluzioni. A fronte di questo scenario Grossi ha messo sul tavolo alcune possibili soluzioni per risollevare il settore. A cominciare dall’importante progetto di detraibilità delle spese culturali e da un maggiore coinvolgimento dei privati nella gestione e nella promozione dell’arte e della cultura. Meno mecenatismo fine a se stesso, più project financing, queste le parole d’ordine gridate da Federculture. Ma anche un piano per l’occupazione nel settore culturale e l’apertura di un tavolo sull’industria creativa con il Mibac e tutte le istituzioni di riferimento. Queste idee sono state scandite come un monito da Grossi agli interlocutori presenti, il sindaco di Roma Ignazio Marino, il ministro del Lavoro Enrico Giovannini e l’assessore alla Cultura di Roma Flavia Barca. E a chi ha rimproverato Bray di poca risolutezza di fronte a tutte queste idee il ministro ha risposto: «Le mie sono parole di grande preoccupazione e allarme, che dicono come ci sia bisogno di investire in cultura». Abbiamo ragione di credergli, un po’ perché persuasi dal fatto che è passato ancora troppo poco tempo dal suo insediamento per poterne giudicare l’operato. Un po’, e forse soprattutto, perché lo stesso presidente del Consiglio Enrico Letta ha assicurato che si dimetterà nel caso in cui il ministero dell’Economia stringesse la cinghia su ricerca e cultura. Gli operatori della cultura restano, quindi, curiosi di sapere quale seguito avrà in confronto di oggi, fiduciosi che l’ondata di crisi del settore culturale possa rivelarsi nel breve periodo un’opportunità per capire su quale direttrice impegnare e ottimizzare le energie. Anche Bartolomeo Pietromarchi, direttore del museo Macro di Roma, rivela questo atteggiamento: «Possiamo almeno essere soddisfatti dell’ascolto e della sensibilità dimostrati nei confronti delle problematiche del nostro settore» ha detto a Inside Art. Ma il pallino, sulla cui realizzabilità i direttori dei musei si interrogano, resta la detraibilità delle spese culturali: «È chiaro che la risposta non può essere immediata, ma parlerei anche di detraibilità per i privati che investono nell’arte e nella cultura».

Sotto trovate l’estratto dal Rapporto Federculture 2013. Elaborazione grafica a cura di Giuseppe Marino (Inside Art).

 

 

 

 

 

 

 

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