Come catalogare l’universo

Il titolo dell’opera prende il nome da un componimento poetico di T.S.Eliot, che fa parte di Quattro quartetti, appunto quattro poemetti filosofici tra loro collegati, di difficile lettura per gli intricati rimandi a motivi letterari, culturali e autobiografici dello stesso scrittore. Interessante è questo passaggio, che parla di crescita e felicità personale, evoluzione e benessere collettivi, di storia e Storia.

“It seems, as one becomes older,?That the past has another pattern, and ceases to be a mere sequence — Or even development: the latter a partial fallacy?Encouraged by superficial notions of evolution,?Which becomes, in the popular mind, a means of disowning the past. The moments of happiness—not the sense of well-being,?Fruition, fulfilment, security or affection,?Or even a very good dinner, but the sudden illumination—?We had the experience but missed the meaning,?And approach to the meaning restores the experience?In a different form, beyond any meaning?We can assign to happiness. I have said before?That the past experience revived in the meaning?Is not the experience of one life only?But of many generations—not forgetting. Something that is probably quite ineffable:?The backward look behind the assurance?Of recorded history, the backward half-look?Over the shoulder, towards the primitive terror”.

Elisabetta Benassi porta avanti costantemente nei suoi lavori la riflessione sulla storia, la cultura, la politica del Novecento, in questo caso attraverso un’installazione assolutamente coinvolgente, per le dimensioni, e per il fatto di essere abitabile, percorribile. E anche per il fatto che risulti all’occhio un po’ instabile, dall’assetto animato. Al principio non dà sicurezza camminare su questo pavimento composto da artigianali e sconnessi mattoncini siglati. In effetti, leggendo il libro appoggiato a una parete, c’è poco da stare sicuri. Vi è elencata la lunga lista di detriti spaziali – in definitiva spazzatura, rottami – che orbitano intorno alla Terra. Frammenti, razzi, vere e proprie nuvole di particelle, materiali espulsi dai motori. Il settore spaziale è senza dubbio di importanza strategica per qualsiasi paese. “L’economia, la società, la sicurezza e l’indipendenza politica dell’Ue – si legge sul sito della Commissione europea, in un articolo di qualche mese fa – fanno ampio affidamento sui sistemi e le infrastrutture spaziali. Costosi progetti spaziali (Galileo, Egno, Copernicus) – per avere garantito l’effettivo funzionamento – devono essere protetti contro danni o distruzione dovuti a collisioni”. Problema incalzante. Il pericolo maggiore è per i circa 1000 satelliti che gravitano intorno alla terra. Pare che vi siano difficoltà nel trovare orbite sicure, che eliminino la possibilità di impatti. Vi è una recente iniziativa di intervento della Commissione europea per un Programma di sostegno alla sorveglianza dello spazio e alla localizzazione (in codice Sst) dei detriti spaziali, intesi come veicoli spaziali o loro parti, che non hanno più alcuna finalità specifica, come parti di razzi o di satelliti artificiali, o i satelliti artificiali inattivi. Questo programma in realtà è di più ampio respiro, perché allarga il monitoraggio agli oggetti spaziali in generale, dunque a qualsiasi oggetto artificiale o naturale che si trova nello spazio extraatmosferico. La richiesta è che il servizio entri in vigore nel 2014. Fuori dall’attualità più incalzante di questa problematica scientifica (e non solo), incontriamo Elisabetta Benassi sul suo lavoro.

La sua installazione è molto poetica, l’opera più poetica di questo Padiglione Italiano. Sembra di toccare con mano – anzi, con piede – la pesantezza che abbiamo nel cielo.

(Sorridendo). «Forse perché rimane profondamente impressa la percezione che ognuno di questi mattoni è fatto a mano. C’è questa ripetizione, questa serialità che è ossessiva ma poi ci si rende conto che ogni pezzo è a sé stante, che è stato realizzato così. È questo che secondo me dà il senso di poeticità di cui parli».

I romani si chiederanno se sono semplicemente inseriti nella sabbia, come i sampietrini.

«Sì proprio posati come i sampietrini. Però era il modo in cui precedentemente si posavano anche i mattoni»

Questa è solamente una selezione di tutti i frammenti che esistono nello spazio.

«Sì, nella sala sono circa 10mila pezzi. Non ho realizzato proprio tutti i frammenti esistenti. Questi appartengono ai detriti più pericolosi che orbitano intorno alla terra, quelli più grandi e che dunque costituiscono un rischio più grande, e sono circa 35mila. E sono tutti monitorati, si sa la posizione di ognuno, da chi è stato lanciato, da quale paese, in quale anno, a cosa appartiene – cioè se è un resto di un satellite, o di un razzo. Sono tutti pezzi artificiali, non sono meteoriti: sono tutti resti di oggetti fatti e lanciati dall’uomo, dal 1957 a oggi. E poi in realtà questo è un archivio che scomparirà. È estremamente attuale il problema dei detriti spaziali, e sembra che la Svizzera abbia vinto un appalto per distruggere i rifiuti direttamente nello spazio. Per cui in qualche modo è una sorta di archivio impossibile, come un’azione un po’ boettiana».

E questi archivi che ha consultato sono della Nasa e dell’Esa.

«Sono più che altro americani».

Ha avuto accesso facilmente ai dati.

«Gli astatunitensi in questo sono più aperti».

Ci sarà un seguito a quest’opera?

«Volendo si possono proporre anche gli altri 25mila frammenti, ma non so, vista la fatica».

Riguardo alla continuazione del lavoro – piuttosto che completare la schedatura – c’è un’idea di portare avanti una variazione sullo stesso tema, sulla preoccupazione relativa ai rifiuti spaziali?

«Qui non si tratta di mostrare la preoccupazione di quello che rimane nello spazio. Il mio lavoro è un insistente tentativo di catalogare qualcosa che è quasi impossibile. Un archivio immenso, per le dimensioni, per i numeri. E poi ci sono anche tanti altri aspetti».

E immaginando gli altri possibili aspetti, si passeggia con fare bustrofedico sull’installazione, e, come fosse una nenia, è scritto, dal medesimo grado tonale, la sequenza dei nomi dei detriti, un nome in codice impresso su ognuno dei 10mila mattoni: 4513 THOR BURNER2 R/B; 4048 THOR BURNER2 R/B; 26230 PEGASUS; 24910 ATHENA1 R/B (OAM); 17634 ARIANE1; 33151 DELTA1; 3594 COSMOS 1275; 2757 ESSA5; 1000 TITANSA TRAMAGE1

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