Sarà visitabile fino a gennaio 2026 la nuova mostra promossa dalla Pinault Collection a Venezia dal titolo Tatiana Trouvé. La strana vita delle cose. L’esposizione è dedicata all’artista italiana naturalizzata francese che ha attivamente collaborato all’allestimento dell’esposizione assieme ai curatori, Caroline Bourgeois e James Lingwood. La mostra è ospitata a Palazzo Grassi, la prima sede espositiva acquisita nel 2006 dalla Fondazione Pinault a Venezia, alla quale si è poi aggiunta nel 2009 anche Punta della Dogana (l’ex Dogana di Mar) che al momento ospita la seconda mostra promossa nella città lagunare dalla Collezione, ovvero Thomas Schütte. Genealogies, visitabile fino al 23 novembre 2025 e curata da Jean-Marie Gallais e Camille Morineal.

Classe 1968, Tatiana Trouvé nasce a Cosenza ma inizia ben presto a condurre una vita estremamente nomadica: passa gran parte della sua infanzia in Senegal, poi studia arte a Nizza, nei Paesi Bassi, a Parigi, e oggi risiede a Montreuil pur continuando a spostarsi per il mondo appena ne ha l’occasione. La mostra a Palazzo Grassi costituisce la più grande personale mai dedicata fino a oggi a Trouvé, la quale ha realizzato alcune opere appositamente per quest’occasione, come la grande installazione che copre il pavimento dell’ingresso Hors-sol (2025), costituita da un tappeto di asfalto nel quale sono stati incastonati vari tombini e chiusini recuperati dall’artista in numerose città diverse. Sotto di essa sembra confluire un reticolo di acque immaginarie che ha il suo fulcro proprio a Venezia, la città dell’acqua per eccellenza.
Tuttavia, nelle opere di Tatiana Trouvé nulla è mai davvero come sembra e osservando Hors-sol dalle balconate dei piani superiori del Palazzo assistiamo a un capovolgimento del punto di vista: dall’alto, infatti, la colata di asfalto sembra essere un cielo notturno punteggiato di costellazioni argentate. Sospesa tra il sottosuolo e la galassia, questa installazione racchiude uno degli aspetti centrali della produzione artistica di Trouvé, ovvero la ricerca di uno spazio e di un tempo non lineari in grado di dischiudere dimensioni nuove nelle quali mondi interiori ed esteriori convergono e gli oggetti che incontriamo fungono da catalizzatori della memoria.

Le installazioni di Trouvé sono infatti costituite da assemblaggi di riproduzioni in bronzo, marmo o pietre dure, di oggetti da lei trovati nel suo studio oppure durante i suoi viaggi per il mondo. È il caso della serie The Guardians (2013-24) i cui esemplari sono dislocati tra le sale del percorso come se volessero presidiare le altre opere esposte. Questi guardiani sono per lo più costituiti da sedie su cui sono collocati altri oggetti ricorrenti nelle opere dell’artista quali cuscini (apparentemente sofficissimi ma scolpiti nel marmo), scarpe, valigie, chiavi e soprattutto libri sulle cui copertine Trouvé ha inciso i titoli delle letture che maggiormente l’hanno influenzata durante la sua formazione artistica e intellettuale.
Città (2024) è invece una serie di sculture che Trouvé ha realizzato assemblando calchi di oggetti da lei rinvenuti durante i suoi numerosi viaggi in giro per il mondo (monete, accendini, fiori, guanti, corde) montati a formare delle grandi collane o ghirlande. Tali opere, nella loro circolarità, sembrano riecheggiare il divenire costante delle cose, delle persone e dei materiali che, secondo l’artista, attraversano un mutamento vitale continuo, così come la memoria che rivive continuamente grazie ai ricordi e agli oggetti. Le Città funzionano appunto come dei veri e propri souvenir turistici che, nel loro complesso, costituiscono una sorta di grande giornale di bordo della vita dell’artista, nel quale le parole sono state sostituite dagli oggetti.

La memoria personale si intreccia però anche a quella collettiva e agli eventi di cronaca, di cui gli oggetti portano parimenti le tracce. È il caso di installazioni come Navigation Gates (2024) e Storia Notturna, 30 giugno 2023 (2024): dopo aver varcato un cancello fatto di rami fusi in bronzo, il visitatore si trova di fronte a due pareti di gesso sulle quali Trouvé ha collocato le impronte da lei realizzate per le strade di Montreuil subito dopo le contestazioni del 30 giugno 2023, durante le quali perse la vita un ragazzo di diciassette anni a causa di un colpo esploso dagli agenti di polizia. I calchi effettuati dall’artista per le strade della città assumono in quest’opera l’aspetto un po’ astratto di un paesaggio brullo e quasi primordiale che simboleggia la rabbia dirompente di chi combatte per i propri diritti.
Nelle opere di Trouvé il corpo è assente ma sempre tacitamente suggerito: la “maggioranza assente”, per usare il titolo che Barbara Casavecchia ha scelto per il suo saggio di accompagnamento alla mostra (tratto dalle teorie dell’archeologa Linda Hurcombe) è presente sempre a livello latente poiché evocato da calchi di abiti, scarpe e valigie (oggetti che rimandano al tema del viaggio, centrale nell’esperienza biografica dell’artista ma anche archetipico dell’intera esperienza umana), nonché dai tuguri di fortuna che costituiscono Capanne (2017-25), installazione in cui Trouvé immagina una sorta di accampamento di sopravvissuti a un ipotetico disastro ecologico.

Questo tema ritorna anche nei disegni presentati al secondo piano di Palazzo Grassi che costituiscono un altro elemento fondamentale della produzione artistica di Trouvé. Lungi dall’essere secondari rispetto alle opere scultoree e installative, infatti, le serie di disegni come Intranquillity (2005 – …) e Les Dessouvenus (2013 – …) contengono sempre quelle costellazioni di oggetti e assemblaggi tipici delle sue opere tridimensionali, collocate però in ambientazioni più visionarie (a tratti surrealiste) e inquietanti che approfondiscono il tema del rapporto tra ambiente naturale e uomo e focalizzano l’attenzione sulle responsabilità di quest’ultimo nei confronti del Pianeta.
Ecco dunque che ritorna quel concetto di circolazione evocato poc’anzi che definisce non solo la “strana vita delle cose” ma anche l’intera produzione artistica di Tatiana Trouvé, la quale nel dialogo con i curatori della mostra posto in apertura del catalogo, ne parla come di un ecosistema o, meglio, di un “eco-sistema” ovvero un sistema fluido e organico costituito al suo interno da echi reciproci tra ricordi, esperienze, elementi, oggetti. Un eco-sistema in cui lo spazio e il tempo non rispecchiano le categorie tradizionali, unitarie e lineari, a cui siamo abituati bensì si inseriscono in dimensioni alternative e insolite.

Come Hors-sol propone uno spazio che è al contempo acquatico e celeste, sotterraneo e galattico, La misura delle cose (2011) ci suggerisce invece una diversa e personale interpretazione del tempo. Trouvé infatti realizza una sorta di grande “linea del tempo” della propria vita e della propria produzione artistica (due dimensioni che per lei coincidono strettamente) in cui la scansione cronologica degli eventi è sostituita da un ordinamento delle sue opere basato sulla loro dimensione (alcune di esse, tra l’altro, non sono ancora state realizzate ma risultano presenti solo nella mente dell’artista).
Questa installazione, dunque, propone una diversa narrazione non solo del tempo ma, più in generale, del concetto di classificazione che per secoli ha definito il pensiero occidentale: non cronologica (la Storia, intesa come sequenza lineare di eventi, di cause ed effetti), non alfabetica (l’Enciclopedia illuminista di Diderot e D’Alembert) ma secondo un criterio – molto più giocoso e ondivago – che riprende la pratica di misurare l’altezza dei bambini tracciando una tacca sulla parete.
Non un approccio sistematico, dunque, bensì – potremmo dire – “eco-sistematico” nel quale la finzione (le opere possibili, quelle immaginate ma non ancora realizzate) costituiscono comunque a pieno titolo una forma della realtà e rientrano in quella circolazione di ricordi, idee e oggetti che caratterizza la “strana vita delle cose” di Tatiana Trouvé.

Tatiana Trouvé. La strana vita delle cose
Dal 6 aprile 2025 al 4 gennaio 2026
Fondazione Pinault – Palazzo Grassi, Venezia
info: pinaultcollection.com