Dal Giubileo della Speranza alla Speranza di una città contemporanea

L'ambasciatore Umberto Vattani racconta i cambiamenti di una capitale in cerca di nuove definizioni fuori dal suo centro

LE STRADE CHE PORTANO A ROMA: L’AMBASCIATORE UMBERTO VATTANI RACCONTA I CAMBIAMENTI DI UNA CAPITALE IN CERCA DI NUOVE DEFINIZIONI FUORI DAL SUO CENTRO

La certezza dell’eternità è sempre stata la condanna di Roma. Granitico, imperturbabile e solido quanto il profilo delle sue cupole, il peso della storia dell’urbe ha condizionato il suo rapporto con la modernità mantenendo viva la convinzione di un’impossibile dicotomia della Roma contemporanea. Un’idea che, solo osservando l’evoluzione architettonica e urbanistica della capitale, appare quanto mai lontana dalla realtà, e che rafforza la sua negazione se si analizzano le concentrazioni della popolazione nelle sue zone più periferiche, diventate a tutti gli effetti nuovi spazi di significato. Svincolare Roma dal suo centro è un’urgenza già concettualmente digerita, raccontata dal cinema contemporaneo da registi come Gianfranco Rosi o Claudio Caligari e nella letteratura e saggistica, dalle borgate disegnate da Pier Paolo Pa- solini fino alla recente Remoria immaginata da Valerio Mattioli, una Roma capovolta che prende nome dal mito che vedrebbe Remo come fondatore. Ma è un’inversione di prospettiva che ancora fatica a di- ventare sistemica nelle reti amministrative e istituzionali e nell’immagine che la città restituisce al mondo esterno. L’ambasciatore Umberto Vattani, da sempre sensibile ai cambiamenti della capitale e partecipe alle iniziative che ruotano intorno alla sua risignificazione, ha avuto l’intuizione di partire dal Giubileo della Speranza per restituire un’idea di città contemporanea attraverso un progetto che ha come protagonista il Campanone di San Pietro ma, prima di tutto, attraverso il tracciamento di un itinerario aggiuntivo per i pellegrini che si affianchi a quello sistino e sia al passo con i dettami di una chiesa rinnovata nella sua architettura e nelle sue funzioni.

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Come parte l’idea di un percorso parallelo al pellegrinaggio tradizionale?
Il Giubileo, così come lo intendiamo, prende il nome dal piano sistino, voluto da Sisto V, che in pochi anni trasformò Roma. Si può dire che la città da lui ridisegnata – le congiunzioni tra le basiliche, gli assi trasversali – abbia costituito di fatto il primo piano regolatore. Il suo obiettivo era rendere più leggibile e agevole per il pellegrino il percorso delle sette basiliche, quasi tutte all’interno delle mura Aureliane, ad eccezione della Basilica di San Paolo. Così facendo, Sisto modificò la struttura di una Roma fino ad allora centripeta, organizzata attorno a un centro da cui si diramavano le diverse vie, creando invece assi trasversali che metteva- no in relazione le grandi basiliche. Oggi di questo assetto rimane lo stupore di chi entra nelle chiese rinascimentali e barocche e ammira lo straordinario talento degli architetti che le hanno progettate e la ricchezza delle opere d’arte che custodiscono. Ma si tratta di una let- tura che presuppone almeno una conoscenza minima della storia dell’arte. Guardando alla Roma di oggi, il cui territorio, dopo il 1870, si è enormemente esteso – poiché è lì che vive e lavora la maggior parte della popolazione della capitale – il centro storico appare come una piccola area privilegiata, uno scri- gno prezioso racchiuso all’interno delle mura Aureliane. Mi sono quindi chiesto: al di là delle mura, cosa è avvenuto nel più ampio ter- ritorio della Capitale. È davvero solo una periferia insignificante, priva di interesse?

Ovviamente no.
Eppure, nelle mappe riprodotte nelle numerosissime guide di Roma, distribuite negli uffici del Comune o negli alberghi, appare sempre e solo il piccolo centro storico. Per questo motivo, dopo aver creato 27 anni fa, all’interno del Palazzo della Farnesina, una Collezione di arte contemporanea per mostrare alle personalità e alle delegazioni estere l’Italia di oggi, mi dedicai al territorio circostante, su entrambi i lati della grande ansa nord del Tevere. Lo ribattezzai Distretto del Contemporaneo per sottolinearne l’impor- tanza quale ingresso simbolico di Roma e rivelarne la vocazione. Da lì siamo partiti per immaginare un itinerario del Giubileo che si affiancasse a quello tradizionale. Esaminando l’evoluzione della co- struzione delle chiese tra il 2000 e il 2025, abbiamo voluto mettere in evidenza il ruolo fondamenta- le svolto dal Concilio Vaticano II (1962-1965), che introdusse una vera e propria rivoluzione. Prima di tutto, girò l’altare: il sacerdote non volge più le spalle all’assemblea, ma si rivolge ai fedeli. In secondo luogo, la liturgia non è più celebrata in latino. L’ambone è così diventato il fulcro della li- turgia della Parola. Oggi la chiesa non riproduce più cupole, timpani e navate – gli elementi che definivano il paradigma delle basiliche rinascimentali e barocche. Il linguaggio dell’architetto è libero, pur mantenendo chiara la funzio- ne dell’edificio religioso. Ricordo le parole di Paolo VI, all’epoca cardinale Montini: “La chiesa può essere nuda, scarna, poverissima, ma deve pur sempre essere nitida”. Con questa espressione, intendeva dire che l’edificio di culto deve sempre avere la trasparenza e la purezza del cristallo, incoraggiando chi vi entra a rivolgere il pensiero allo spirituale.

Come si è tradotto questo precetto nella pratica?
Queste indicazioni significavano che la Chiesa, pur non avendo più i mezzi di un tempo, intende rivolgersi all’umanità di oggi. A questo proposito, vale la pena ricordare che nel 1974 il vicario di Roma, Ugo Poletti, convocò un convegno intitolato La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e giustizia nella città di Roma, presto ribattezzato I mali di Roma. Emerse con forza il dovere della Chiesa di uscire dal centro storico per andare là dove l’uomo vive e lavora, dove cresce la sua famiglia. Così, se le chiese del centro storico restano tuttora luoghi di preghiera e di visita, le numerose chiese sorte nella periferia hanno assunto un ruolo fondamentale: hanno dato un’identità ai vari quartieri della capitale e agiscono come presidi di assistenza per tutti: fedeli, atei, appartenenti ad altre religioni, anziani e giovani bisognosi. In vista del Giubileo 2025, abbiamo individuato dodici chiese che suggeriscono un itinerario aggiuntivo. Sono tutte lontane dal centro storico, perché sarà in quell’ampio territorio che molti pellegrini troveranno sistemazione. Costituiscono una sorta di corona intorno a Roma, tutte firmate da architetti di rilievo come Francesco Garofalo, Richard Meier, Alessandro Anselmi, Vittorio De Feo e Umberto Riva, ciascuno dei quali ha saputo esprimersi attraverso un linguaggio architettonico innovativo e significativo. Stiamo preparando una guida e degli opuscoli dedicati a ciascuna di queste chiese per informare e incuriosire i pellegrini, offrendo loro una riflessione sul ruolo della Chiesa oggi. L’obiettivo è dare un segnale nuovo: mostrare ai milioni di pellegrini che Roma è una città viva, proiettata verso il futuro, capace di affrontare le innumerevoli sfide della società contemporanea, delle famiglie, dei giovani e degli anziani, e che può sempre contare sull’accompagnamento di una Chiesa, maestra di umanità.

Giubileo contemporaneo è quindi un binomio possibile?
Certamente, e ciò risulta ancora più evidente nel progetto da me promosso e curato insieme a Valentino Catricalà, intitolato Gli echi muti di una grande scultura sonora. L’intento era realizzare un’opera che fosse un segnale universale: da qui l’idea di intervenire sulla grande campana di San Pietro. Il Campanone fu realizzato da Luigi Valadier, padre dell’architetto Giuseppe. Gioielliere e orafo di fama, ricevette da Papa Pio VIII il curioso incarico di forgiare un’opera imponente, dal peso di nove tonnellate e mezzo. Illustrai il progetto al cardinale Mauro Gambetti, che lo ap- provò. Così, grazie al prezioso supporto della Fabbrica di San Pietro, un pioniere dell’arte del suono, Bill Fontana, ha potuto registrare le vibrazioni della campana. Attraverso sensori ad alta risoluzione e sofisti- cati sistemi audio, abbiamo origlia- to le sue vibrazioni, che sono l’eco dei suoni della città e delle campane vicine e lontane, e le abbiamo rese udibili. Per la prima volta al mondo, abbiamo così catturato la voce di questa campana, che si rivolge ai pellegrini, a tutti noi, amplificando all’infinito il messaggio di speranza di Papa Francesco.

Il suono poi è stato riprodotto anche tra i portici della Basilica di San Pietro.
Proprio così. Grazie al sostegno di ENEL, del Gruppo FS Italiane e della Meyer Sound, sono stati collocati nell’imponente Portico della Basilica di San Pietro dodici altoparlanti di terza generazione, che permettono ai pellegrini che entrano nella Basilica di ascoltare la voce della grande campana, solo apparentemente muta. Per il Giubileo degli Artisti, il Cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Pontificio Dicastero della Cultura e dell’Educazione, ha voluto includere nel programma della Notte Bianca di San Pietro gli echi silenziosi della Grande Campana. Gli oltre 7.000 rappresentanti del mondo della cultura e dell’arte che hanno partecipato al Giubileo hanno così potuto ascoltare, nel sugge- stivo scenario, la voce della Grande Campana.

E dopo Roma?
Dalla Basilica di San Pietro, simbolo supremo della cristianità, gli echi sonori del Campanone sono stati ascoltati a marzo sull’Isola di San Servolo, presso la Venice International University. Questi suoni, così toccanti e commoventi, hanno inaugurato le celebrazioni per il 30o anniversario di questo campus universitario, fondato da Carlo Azeglio Ciampi. Successivamente, questi echi risuoneranno in Giappone, nel Padiglione della Santa Sede all’Expo Universale 2025 di Osaka. Tra le future destinazioni vi è lo spazio: abbiamo chiesto all’Agenzia Spaziale Europea di far risuonare il suono del Campanone di San Pietro a bordo di una navicella spaziale, affinché il suo messaggio di speranza e di pace possa idealmente raggiungere l’universo intero.

* L’articolo è stato pubblicato sul numero #134 di Inside Art. Clicca qui per acquistare il magazine.