Storie di ghiacciai digitali. Parla The Astronut

The Astronut - Massimiliano Ionta racconta il progetto "Il ghiacciaio è ghiaccio, il ghiaccio è acqua, l’acqua è vita”, presentato da MIA Photo Fair

I ghiacciai italiani continuano a ritirarsi. Negli ultimi 20 anni hanno perso la loro massa del 5,4%, equivalente a 6.558 miliardi di tonnellate. Alpi e Pirenei sono le montagne che più delle altre stanno soffrendo con un’accelerazione persino doppia. Il Manifesto europeo per i ghiacciai è stato firmato a Milano. L’obiettivo è ridurre l’emissione di gas serra per arrivare a sorpassare di solo un 1,5°C i livelli rispetto ai livelli preindustriali. Inoltre, si vuole garantire una maggiore cooperazione internazionale e prevedere delle risorse dall’alta quota.

In occasione del MIA Photo Fair, dal 20 al 23 marzo a Milano, The Astronut, nome d’arte di Massimiliano Ionta, ha presentato con la curatela di Clelia Patella un progetto artistico che si focalizza proprio su questa tematica: “Il ghiacciaio è ghiaccio, il ghiaccio è acqua, l’acqua è vita”. La immagini del ghiacciaio Aletsch, Patrimonio UNESCO, sono state proiettate su un ledwall. Le stesse immagini digitali mutano attraverso l’intervento dell’intelligenza artificiale e i fruitori dell’opera posso interagire con l’installazione: ascoltano il mantra che consiste in una preghiera utilizzata dagli abitanti del villaggio – il ghiacciaio si trova in Svizzera, tra i cantoni Berna e Vallese – per scongiurarne lo scioglimento e rallentare il processo, possono poi, a loro volta, partecipare ripetendo la preghiera nel microfono. In tale modo, il ghiacciaio digitale risponde alle note e alle parole del pubblico trasformandosi.

Com’è nato questo specifico progetto legato al cambiamento climatico e allo scioglimento dei ghiacciai?

Questo lavoro è la naturale continuazione di un progetto cominciato alcuni anni fa: un’opera in audio spazializzato, una composizione di 24 ore dal titolo Nothing Personal. L’opera, divisa in quattro atti, cerca di raccontare – per dirla in modo semplice – la deificazione del concetto di denaro, passato da utile codice di scambio a vera e propria religione. Durante la fase di elaborazione speculativa del concetto narrativo, ho iniziato a notare come qualsiasi interazione umana contemporanea, soprattutto nel mondo occidentale (o occidentalizzato), fosse ormai esclusivamente regolata dal profitto a ogni costo. Un profitto in grado di giustificare qualsiasi azione. La questione ecologica è balzata agli occhi come un enorme elefante nella stanza.

I ghiacciai, e la montagna in generale, sono per me un rifugio dell’anima e della mente, luoghi a cui sono profondamente legato e dove trovo ristoro e lucidità. Dovendo pensare a un progetto per il Consolato Svizzero di Milano, nell’ambito dell’area espositiva in cui siamo stati ospiti, mi è venuto naturale parlare dello scioglimento del più grande ghiacciaio delle Alpi, patrimonio UNESCO: il ghiacciaio dell’Aletsch. Solo negli ultimi mesi – non anni – ha perso circa il 9% della sua estensione. Un vero e proprio grido di dolore e allarme per tutti.

Il ghiacciaio Aletsch sta perdendo terreno, come molti altri ghiacciai in Europa Centrale e nel mondo. L’urgenza di una risposta coordinata da parte dei governi e della popolazione globale è sempre più evidente. Cosa possono fare gli artisti?

La situazione è impellente. Non si tratta più di cosa possano fare gli artisti, ma di cosa possa fare ogni singola persona. Ed è proprio questo il pensiero centrale della mia opera esperienziale. L’artista ha da sempre il dovere di scuotere l’animo umano attraverso l’opera, per stimolare una riflessione profonda. L’opera che riesce a farlo tramite l’esperienza è, per me, lo strumento più potente. L’unica cosa che può davvero cambiare i comportamenti umani è un cambio di percezione rispetto al proprio agire.

Viviamo in un’epoca in cui un pensiero orizzontale, strisciante e subdolo ci ha convinto che la nostra singola azione non abbia alcuna rilevanza in una società di otto miliardi di persone e di poteri concentrati e insormontabili. Il risultato? Non diamo più valore al nostro gesto individuale, gettiamo via con superficialità o non ricicliamo l’involucro di plastica o la lattina di birra, tanto “cosa cambia?”.

In quest’opera, attraverso un semplice gesto – recitare una preghiera – ci si unisce alle voci di chi crede che il cambiamento sia possibile, nelle quaranta lingue più parlate al mondo. Questo atto fa sì che, questo organismo vivente complesso, il ghiacciaio sofferente guarisca per qualche secondo davanti agli occhi dell’osservatore. Ho voluto creare una situazione in cui il proprio agire producesse un riscontro immediato, così che, attraverso l’emozione, si generi un ricordo che si possa sedimentare nella coscienza.
L’obiettivo e la speranza è che, la prossima volta, quel ricordo ci guidi a fare la cosa giusta, anche e soprattutto nei piccoli gesti quotidiani. Non credo siano le grandi gesta a cambiare il mondo, ma curare il nostro piccolo tratto di strada ogni giorno, con costanza.

Esiste una rete tra creativi che si occupano di sensibilizzazione su queste tematiche?

Sì, più o meno. Esiste una definizione per una pratica artistica di questo tipo: si chiama Artivism. Personalmente non so se posso ritenermi parte di questo movimento, poiché ci sono artisti che trattano esclusivamente queste tematiche. La mia ricerca artistica parte dalla speculazione sulla relazione tra anima e coscienza, tra la dimensione materiale in cui siamo immersi e quella immateriale da cui, a mio parere, proveniamo. Siamo esseri di pensiero, prima di tutto – ma questa è un’altra intervista.

L’opera site-specific The Sound Garden: Out of Sight in collaborazione con Soundreef è stato il primo atto dell’opera Nothing Personal, che definisci come una più ampia epopea sul rapporto tra essere umano, civiltà, società, ambiente e potere. Vuoi spiegarci meglio?

Nothing Personal è un’opera installativa ambientata in un metaverso sonoro e visivo, fruibile anche attraverso visori comuni o gratuitamente su YouTube. Si tratta di un lavoro della durata di 24 ore, composto nel 2021 ed esposto all’Open Box in via Pergolesi a Milano, con la curatela di Gaspare Luigi Marcone.

L’opera, in quattro atti, racconta l’evoluzione del concetto di denaro che da semplice codice di scambio diviene la più potente religione mai esistita capace, grazie alla laicità endemica, di influenzare e plasmare l’evoluzione della società umana fino al suo rapporto con i principi fondanti dell’esistenza. The Sound Garden: Out of Sight, curato da Clelia Patella, è il primo atto ed è dedicato al cambiamento climatico. Parte dalle conseguenze inizialmente invisibili, poiché in zone remote della terra, oggi purtroppo sono davanti a noi ampiamente evidenti.

L’essere umano, in nome del profitto, ha dimenticato altri tipi di capitale come ad esempio la sopravvivenza, non solo delle altre specie, ma anche della propria. Con l’uso della realtà aumentata, ho geolocalizzato il suono nei giardini della Triennale di Milano, rendendoli un palcoscenico immersivo in cui lo spettatore viene inserito direttamente nello spazio scenico rompendo l’invisibile linea tra pubblico e azione.

Com’è andata l’installazione al MIA Photo Fair in termini di interazione con il pubblico?

Stupefacente è l’unico aggettivo che riesco a usare per descrivere le emozioni provate nel vedere la risposta del pubblico e la grande affluenza allo stand. Ho visto persone emozionarsi, ringraziare, e nella quasi totalità dei casi comprendere il messaggio e la sua importanza. È stata per me una grandissima emozione. Ringrazio ancora il Consolato Svizzero di Milano, Rischa Paterlini e Clelia Patella per questa bellissima opportunità.

Come hai creato l’avatar The Astronut, che ha segnato il tuo debutto nel panorama dell’arte contemporanea?

L’avatar The Astronut nasce da una serie di dialoghi e confronti con l’amico psicoanalista e filosofo Mario Scardino, dalla lettura de Il Codice dell’Anima di James Hillman e da un percorso personale di riflessione sulla natura della coscienza. In un mondo che si sta dematerializzando in ogni suo aspetto, dai beni di consumo alle relazioni sociali, l’artista appartenente a questo cambiamento non poteva che essere un avatar. Anzi, a dirla tutta: io sono l’avatar in carne dell’artista digitale, la sua interfaccia per interagire in questa dimensione materiale.

Perché pensi che l’installazione interattiva possa essere un medium efficace per trasmettere le problematiche legate al cambiamento climatico e al depauperamento delle risorse ambientali?

Perché mette il corpo, il gesto, la presenza al centro dell’esperienza. L’interazione – soprattutto quando è semplice ma emotivamente significativa – genera un legame diretto tra ciò che si vede e ciò che si sente. L’essere umano, quando agisce, non è più solo spettatore, ma diventa parte del processo. E questo cambia tutto. In un’epoca in cui siamo bombardati da dati, grafici, allarmi e parole, l’arte può proporre una via alternativa: quella della sensorialità, dell’immaginazione, della connessione. Attraverso un’opera interattiva che unisce il suono, la visione e il gesto, ho voluto generare un piccolo rituale che permetta di “toccare” con mano le emozioni, per un attimo, cercare di condividere un’esperienza. L’interattività non è un gadget tecnologico, bensì un ponte tra emozione e consapevolezza. Solo ciò che ci coinvolge davvero riesce a smuovere qualcosa dentro di noi.

Coniughi realtà aumentata, suono e fotografia. Vieni dal mondo della musica, hai composto colonne sonore e sei stato responsabile del suono nelle installazioni archeologiche permanenti di Piero Angela e Paco Lanciano. Pensi che la musica e la dimensione sonora possano avvicinare un pubblico eterogeneo all’arte contemporanea e all’archeologia?

Penso che il suono sia l’arte più concettuale che esista: la narrazione avviene attraverso l’invisibile, l’immateriale, ciò che più si avvicina alla coscienza, al pensiero, all’anima. Proprio per questo, credo che il suono – già capace di influenzare lo stato d’animo di una persona – sia uno strumento potentissimo per operare a livello profondo, animico (‘interiore’, ‘psichico’). Può avvicinare, unire, risvegliare.

Quali saranno le prossime tappe che andranno ad arricchire il tuo corpus di opere?

Cercherò sempre più di rendere il suono, la percezione e l’esperienza il fulcro della mia pratica artistica.
Un progetto che sto portando avanti da tempo – e spero possa presto concretizzarsi – è quello di dare una forma fisica al suono. Farlo diventare qualcosa di tangibile, esperibile anche nel corpo, nella materia.