Era il 2023 quando l’attivista per il clima Timothy Martin e un’affiliata del gruppo ambientalista Declare Emergency, Johanna Smith, imbrattavano con vernice rossa e nera il piedistallo e la struttura di La Petite Danseuse de quatorze ans, una scultura realizzata nel 1880 da Edgar Degas e conservata alla National Gallery of Art di Washington DC. Due anni dopo, l’8 aprile 2025, l’attivista è stato dichiarato colpevole da una giuria federale di “cospirazione per commettere un reato contro gli Stati Uniti”.

La vicenda della scultura di Degas
Con la loro azione nel 2023, Martin e Smith hanno causato danni per 4.000 dollari e la chiusura della National Gallery di Washington, che ospitava la scultura di Degas, per dieci giorni, necessari ai lavori di riparazione del piedistallo. A riportarlo è il Dipartimento di Giustizia statunitense. E se Smith si era dichiarata colpevole in precedenza, subendo così una condanna a 60 giorni di carcere, 24 mesi di libertà vigilata e l’obbligo di pagare oltre 7.000 dollari tra risarcimento, danni e multe, così non è stato per Martin, che ha ricevuto il suo verdetto solo nell’aprile 2025. L’attivista dichiarava infatti a USA Today come la protesta avesse una natura simbolica: l’opera di Degas non aveva subito danni, dato che la vernice era stata applicata solo sulla teca protettiva.
Il verdetto nel pieno della rivoluzione trumpiana
La decisione della giuria federale di dichiarare colpevole di “cospirazione per commettere un reato contro gli Stati Uniti” arriva dopo un ordine esecutivo del 28 marzo 2025 in cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha invitato i funzionari federali e distrettuali a impegnarsi per rendere Washington “sicura e bella”. Con la divulgazione dell’ordinanza, che prometteva di “dispiegare una presenza più robusta delle forze dell’ordine federali” per contrastare “graffiti e altri atti vandalici, disordini e manifestazioni non autorizzati” nella capitale degli Usa, il verdetto sulla vicenda Degas sembra avere una natura simbolica.


Un’impressione rafforzata dalle parole del procuratore statunitense Edward R. Martin Jr, che ha affermato: «una libertà di parola è un diritto costituzionale. Ma quando si agisce, come distruggere beni come opere d’arte di inestimabile valore, si oltrepassa un limite che nessuno in questa città tollererà». Tutto ciò, come nel caso di Martin, la cui sentenza è fissata al 22 agosto, anche se la protesta non intende causare danni alle opere.