Quando si svuota l’appartamento in cui ha vissuto la propria famiglia, non ci si libera solo di beni materiali, ma si compie un viaggio nei ricordi, ripercorrendo la vita di chi quegli spazi li ha abitati. E ci sono oggetti che più di altri custodiscono la memoria di chi li ha utilizzati.
È quello che è successo a Cesare Pietroiusti il quale, dopo aver liberato l’appartamento di famiglia in via Novara (nel quartiere Trieste di Roma), ha trovato un paio di voluminosi scatoloni coperti di fuliggine nera, contenenti centinaia di fascicoli con le pubblicazioni scientifiche (1960-1966) del padre, Guido Pietroiusti. Questa scoperta è stata l’input per la realizzazione di Materia Paterna, seconda mostra personale dell’artista romano, organizzata negli spazi della galleria The Gallery Apart e visitabile fino al 31 maggio 2025.

photo Eleonora Cerri Pecorella
Sulla scia della precedente mostra Valori, in parte incentrata sulla complessità del rapporto padre/figlio filtrato attraverso la paterna collezione di francobolli, Pietroiusti indaga più in profondità la sua relazione con i genitori, in modo palese rispetto alla figura paterna, ma con un significativo riferimento alla madre, ironicamente evocata attraverso il termine “materia”. Cesare Pietroiusti è oggi una figura cardine della scena artistica concettuale non solo italiana, artista visivo, docente, fondatore e coordinatore di molti centri di ricerca, progetti e convegni d’arte, ma non tutti sanno che è ha una laurea in Medicina con una tesi in Clinica Psichiatrica.



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In realtà, Guido Pietroiusti, medico, ginecologo di successo, stimato e amato dalle pazienti, era convinto che il figlio avrebbe seguito le sue orme, ma così non fu a causa di un primo approccio traumatico. Il progetto della mostra emerge dall’idea di un confronto e probabilmente, come scrive lo stesso artista, da un tentativo di dare forma a una affinità che, viste le scelte professionali, risulta inattesa e sorprendente. Un omaggio alla figura paterna, in cui si uniscono nostalgia e ironia. Il risultato è esposizione, allestita su due piani, molto personale e intima, in cui il corpus di opere presentate comprendere sia alcune storiche sia quelle di nuova produzione. Visti i ritrovamenti, gran parte della mostra si focalizza sull’attività medica paterna. I due colori è un grande collage, realizzato con le pubblicazioni scientifiche, in cui ripetizione e bicromia danno vita ad un’opera a metà tra concettuale e astratto-geometrico; i libri hanno preso nuova vita nella serie Bibliografia, sculture volumetricamente regolari.
Alcune tra le pubblicazioni paterne raccontano di una nuova tecnica, imparata in Francia: la celioscopia. Un modo, diventato poi molto comune, di esplorare l’apparato genitale femminile per “via endoscopica” praticando un foro nell’addome e facendovi passare un piccolo obiettivo collegato a una foto- o video-camera. Celiofoto è una serie fotografica che si basa sulla riproduzione di queste immagini trovate dall’artista e realizzate dal padre con la suddetta tecnica medica. Gli organi interni si rivelano scenario di una enigmatica bellezza, dando vita ad immagini che evocano lo spazio siderale.



photo Eleonora Cerri Pecorella
Tra i ritrovamenti dell’artista rientra anche un baule contenete una serie di dilatatori uterini in acciaio, conservati ordinatamente secondo una progressione dimensionale dal più piccolo al più grande. Da qui nasce Itifallica, un lavoro scultoreo realizzato con i medesimi dilatatori e ottenuto seguendo lo stesso ordine scelto dal padre e posizionati a comporre una sorta di scala ascendente. Il titolo di quest’opera, inoltre, è anche un riferimento al rito di origine antica legato al culto della fertilità e della celebrazione della virilità. E, sempre attraverso il ricorso ad oggetti trovati nello studio paterno, è stata realizzata l’opera installativa Ginecologia: una proiezione in sequenza di 80 diapositive tutte titolate GINECOLOGIA, presumibilmente usate per scopi didattici, interpretate come fossero una narrazione. Partendo dalle immagini stesse, Cesare Pietroiusti, partendo dall’idea che si sta osservando qualcosa che è altro, ha aggiunto dei titoli con riferimenti religiosi alle differenti sezioni.
Trait d’union con la precedente mostra in galleria, l’artista ha realizzato un’opera di grandi dimensioni, Filatelia, consistente in due collages posizionati l’uno contro l’altro, come due facce di un’enorme busta, e contenenti rispettivamente decine di involucri postali provenienti da case d’asta o mercanti di francobolli e decine di lettere e fatture attestanti le acquisizioni del padre per la sua collezione. Questo corpus di lavori è un’occasione per l’artista per compiere un’analisi di sé e del suo rapporto (mancato) con la medicina, ma porta anche a riflettere sul corpo femminile, sulla sua centralità rispetto all’universo conosciuto e al miracolo della vita, ma anche sulla dialettica fra la tradizionale e patriarcale visione della femminilità come mistero e la interiorizzata consapevolezza del principio di autodeterminazione del proprio corpo da parte delle donne.


photo Eleonora Cerri Pecorella
Forse, al fondo, la dialettica è, una volta di più, quella fra interiorità (del corpo ma anche del sé, di un luogo ma anche di un’istituzione) ed esteriorità. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, Pietroiusti ripropone in mostra alcune opere fotografiche storiche appartenenti alla serie Finestre Vivita del 1989/90, in particolare Didattico Finestre-Vivita 1. Così come il corpo umano può essere indagato e visto nelle sue strutture interne attraverso alcune delle tecniche mediche evocate in mostra, anche gli edifici e gli spazi possono essere traguardati dallo sguardo dell’artista e svelare realtà altrimenti invisibili.