Il profitto dell’arte nell’era dell’IA, chi gode e chi ci rimette

La recente asta di Christie's apre nuovi dibattiti sulla necessità di ricompensare coloro che contribuiscono all'addestramento delle IA

Si è svolta nonostante le polemiche l’asta di Intelligenza Artificiale organizzata da Christie’s. E si è svolta nonostante fosse arrivata qualche giorno prima una petizione da oltre 6mila artisti per fermare quello che è stato definito come un “furto di massa” della creatività umana. “Molte delle opere d’arte – hanno scritto gli artisti nella lettera – sono state create utilizzando modelli di IA che sono noti per essere addestrati su opere protette da copyright senza licenza”.

Ma la casa d’aste è andata avanti lo stesso, con l’obiettivo di dimostrare l’interesse del mercato verso nuovi territori di frontiera e ha battuto 34 lotti che andavano dagli anni Sessanta a oggi (tra cui opere di Refik Anadol, Charles Csuri e Harold Cohen) totalizzando una cifra di 728.784 dollari a fronte di una stima di 600.000. Un esito timido ma, tutto sommato, oltre ogni previsione : «Le opere in questa asta – ha affermato un portavoce di Christie’s – utilizzano l’intelligenza artificiale per migliorare i loro lavori e, nella maggior parte dei casi, l’IA viene impiegata in modo controllato, con dati formati sugli input degli artisti stessi».

Holly Herndon & Mat Dryhurst, Embedding Study 1 & 2 (from the xhairymutantx series). Photo: Christie’s Images Ltd. 2025. Sold for $94,500 (with fees)

L’accaduto non solo torna ad accendere i riflettori su un tema particolarmente controverso che riguarda l’autorialità delle opere e la necessità di definire in modo ancora più decisivo un quadro normativo per l’accesso, l’utilizzo e la protezione di dati ma, ancora più interessante, genera domande come questa : chi può trarre profitto dall’arte nell’era dell’intelligenza artificiale e chi viene lasciato indietro?

Per quanto riguarda l’aspetto legato alla creatività, il tema dell’IA sembra riportarci indietro al dibattito sulla fotografia, quando l’ottava arte, nell’Ottocento, era considerata minore, ridotta a semplice pratica di supporto alle sue sorelle nobili. Baudelaire addirittura la definiva “la palestra dei pittori mancati”, a rimarcare la poca gloria della sua tecnica, indegna di confrontarsi con le altre forme d’arte. Ma non serve scomodare Benjamin per comprendere come l’arte, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, abbia abbattuto ogni confine tra l’originale e la sua copia e abbia rinunciato a ogni pretesa di eternità.

Tuttavia, rispetto al secolo scorso, il tema si inserisce in un contesto ben più complesso e, sebbene il rapporto tra arti visive e tecnologia sia stato ampiamente sviscerato, continua a sollevare dubbi legittimi che vanno ben oltre l’originalità di un’opera prodotta da un’IA o con l’ausilio di IA. E cioè: di chi è la proprietà di un’opera che viene generata da un algoritmo “addestrato” sui dati di migliaia o milioni di autori o opere? E di chi sono i diritti d’autore sull’opera così generata? Qui, al riguardo, trovate un approfondimento sull’argomento.

L’argomento principale dei firmatari contro Christie’s era proprio questo, cioè che molti modelli di IA generativa sono stati addestrati su vasti set di dati che includono opere protette da copyright, spesso senza consenso. Il problema non è nuovo: da tempo gli artisti protestano contro le aziende di IA generativa che fanno “scraping” delle loro opere senza corrispondere crediti o compensi. Ma le cose si fanno più serie ora che una delle case d’asta più prestigiose del mondo sembra voler sostenere queste dinamiche.

Machine Hallucinations – ISS Dreams – A (2021) by Refik Anadol
Courtesy of Christie’s

Alcuni critici sostengono che Christie’s non stia solo legittimando l’arte generata dall’IA, ma anche svalutando attivamente il resto delle collezioni di opere battute all’asta. Se i pezzi generati dall’IA vengono venduti per decine o centinaia di migliaia di dollari, che impatto ha questo sul valore dell’arte creata completamente dall’uomo? Ma mettiamo da parte questo timore futuro. Per ora, infatti, il mercato tradizionale non corre alcun pericolo. Ciò che va regolamentato sono i sistemi di addestramento dell’IA. Se gli artisti avessero il controllo sulla possibilità di utilizzare le loro opere per addestrare i modelli di IA – come specifica Forbes – questa controversia non esisterebbe. Ma oggi la maggior parte degli artisti non ha questo controllo.

E allora una soluzione potrebbe essere quella di ricompensare coloro che contribuiscono all’addestramento : cioè se l’arte dell’IA deve essere venduta, gli artisti il cui lavoro è stato utilizzato per addestrare l’IA dovrebbero ricevere delle royalties. In questo modo si riconoscerebbe almeno il contributo di coloro che, inconsapevolmente, hanno contribuito a formare questi modelli di IA. Ma il processo è ancora lontano dal farsi trasparente e, ad oggi, è troppo difficile ricostruire quali step hanno condotto alla realizzazione di quella data opera.

Intanto non resta che aspettare per capire se l’addestramento di IA porterà al riconoscimento di grandi artisti o a una nuova “palestra di pittori mancati”.