Sarà visitabile fino al prossimo febbraio la mostra Marina Abramović. Between breath and fire, curata da Karol Winiarczyk da Gres Art 671, nuovo spazio espositivo risultante dalla riqualificazione di un’ex area industriale della città di Bergamo che ha scelto di inaugurare le proprie attività proprio con questa mostra dedicata alla “nonna della performance”, come la stessa Abramović si è definita.

Between breath and fire propone circa trenta opere dell’artista, tra performance storiche proiettate nell’open space di Gres Art 671 e lavori più recenti, in particolare Seven Death (2021), un’esperienza cinematografica immersiva costituita da sette capitoli in cui Abramović reinterpreta assiema all’attore Willem Dafoe altrettanti morti di protagoniste di opere liriche con il sottofondo di arie interpretate da Maria Callas. Come spiega la stessa Marina Abramović, l’incontro con l’arte di Callas è stata una folgorazione che l’ha portata non solo ad amare profondamente la cantante ma anche a riconoscersi in lei, tanto da affermare: «era forte sul palco, ma infelice nella vita. È morta per amore. Una volta, ero così innamorata che non riuscivo a mangiare, dormire o pensare, e il mio lavoro mi ha salvata».
Marina Abramović, la mostra
La mostra si articola in quattro sezioni tematiche, dislocate nell’ampio spazio di Gres Art 671, che ripercorrono la lunga produzione artistica di Marina Abramović, iniziata negli anni Settanta con le sue sperimentazioni che hanno posto al centro il suo corpo, rendendolo realmente medium e materiale artistico e spingendolo talvolta al limite della sopportazione fisica e psicologica.


Nella sezione Breath, troviamo dunque opere riconducibili al tema del respiro, inteso come una costante nella vita umana, non solo in quanto esigenza fisiologica ma anche come spirito vitale e materiale artistico di cui Abramović si serve in alcuni suoi lavori. È il caso, per esempio, di Dozing Consciousness (1997) in cui l’artista è sepolta sotto un cumulo di cristalli di quarzo che si spostano leggermente ad ogni suo respiro, evidenziandone il ritmo e sottolineando la sua persistenza difficoltosa ma essenziale.
C’è poi la sezione Body che ribadisce come il corpo, spesso spinto sino ai limiti della resistenza, sia uno degli elementi principali dell’attività artistica di Abramović. Un corpo percosso, denudato, ferito, umiliato, addirittura straziato o messo in pericolo, che ci porta a riflettere sulla sua vulnerabilità ma anche sul suo essere il nostro principale canale di comunicazione con il mondo e con gli altri. Ecco che in questa sezione compaiono opere come Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful (1975) in cui Abramović pettina con violenza i suoi capelli ripetendo ossessivamente le parole del titolo, oppure Lips of Thomas (1975/1993) durante la quale l’artista compie varie azioni pseudo-rituali e purificatorie come incidersi un pentacolo sul ventre con una lametta, autoflagellarsi e sottoporre il proprio corpo nudo a temperature estreme.
L’esecuzione di questa performance, negli anni Settanta, è stata interrotta dall’intervento del pubblico che ha scelto di soccorrere l’artista, impedendole di proseguire con gli strazi a cui si stava sottoponendo, sottolineando così il proprio ruolo attivo e partecipante all’interno del processo artistico, in contrasto con la passività che ha contraddistinto tradizionalmente la fruizione dell’arte.

Il tema del coinvolgimento diretto del pubblico costituisce la base di un’altra performance svolta nel 1977 assieme ad Ulay, con il quale Abramović ha sancito un sodalizio artistico e sentimentale terminato poi con la loro separazione negli anni Ottanta: si tratta di Imponderabilia, durante la quale il pubblico è stato costretto, per entrare nella Galleria d’Arte Moderna di Bologna, a passare in mezzo ai due corpi completamente nudi degli artisti, in piedi uno di fronte all’altra tra gli stipiti della porta.
Imponderabilia si trova proprio in corrispondenza della metà ideale del percorso, emblematicamente collocata tra la sezione Body e la sezione Other, la quale si concentra invece sul ruolo dell’Altro nell’opera di Marina Abramović. Un Altro che può essere, di volta in volta, Ulay (è il caso di Rest Energy, 1980) oppure appunto il pubblico che – come detto – costituisce parte integrante e imprevedibile delle sue performance (basti pensare a Rhythm 0 (1974) assente nella mostra bergamasca ma imprescindibile per quanto concerne il tema del rapporto con l’altro: l’artista aveva infatti messo a disposizione dei visitatori una serie di oggetti con i quali avrebbero potuto liberamente interagire con il suo corpo, tra cui anche una pistola carica).
È il caso della già citata Lips of Thomas, oppure di Spirit House (Insomnia) del 1997, in cui l’artista invita il pubblico a ballare con lei inseguendo la propria ombra all’interno di uno spazio delimitato sul pavimento da una luce proiettata dall’alto.


Ultima sezione è Death, ovvero la morte, il limite estremo dell’esistenza di ogni creatura vivente ma che può essere valicato grazie all’Arte, la quale contribuisce a mantenere in vita qualcosa dell’artista che l’ha realizzata anche dopo la sua dipartita. Ecco dunque un altro elemento che avvicina Marina Abramović a Maria Callas: come la voce di quest’ultima ha trasceso i limiti della sua vita, grazie all’arte e alle registrazioni che l’hanno conservata, così anche l’artista serba riuscirà a sua volta – attraverso le sue opere – a sfidare l’eternità.
È proprio questo che accade nella già citata Seven Deaths (2021), proiezione di circa un’ora a cui il pubblico può assistere in uno spazio che, con le sue poltroncine di velluto, ricorda davvero una sala cinematografica un po’ retrò. Il film è anche accompagnato da una serie di bassorilievi in alabastro che sembrano essere delle specie di fotogrammi in pietra recanti alcuni primi piani dell’artista, tratti dai vari episodi che costituiscono Seven Deaths.
Ecco che, in questo recente lavoro, l’esperienza biografica e artistica di Marina Abramović si fonde con quella di Maria Callas e con le vicende delle protagoniste di alcune delle principali opere liriche (Violetta Valery, Desdemona, Madama Butterfly, Carmen, solo per citarne alcune) a cui la soprano greca ha prestato la propria voce e il proprio volto in più occasioni.

Vediamo così Marina Abramović e Willem Dafoe vestire i panni di Desdemona e Otello mentre, con il sottofondo dell’Ave Maria dell’Otello verdiano intonato da Callas, dei grossi serpenti (animali ricorrenti nella produzione artistica passata di Abramović) si attorcigliano addosso all’artista fino a soffocarla (Seven Deaths: The Snake). In Seven Deaths: the Poison, invece, Abramović e Dafoe indossano tute hazmat mentre si muovono in una landa desolata e invasa dalle radiazioni sulle note dell’aria pucciniana Un bel dì vedremo: a un certo punto, l’artista si slaccia la tuta e respira l’aria infetta fino a cadere a terra esanime, realizzando una sorta di tributo alle sue performance storiche, durante le quali ha più volte spinto all’estremo il proprio corpo fino addirittura a rischiare la vita.
O ancora in Seven Deaths: The Fire Abramović e Dafoe (lei vestita con pantaloni da smoking e camicia bianca, lui con un abito di paillettes dorate, in un’inversione dei ruoli di generi) incedono lentamente, mano nella mano, fino a gettarsi in un’enorme massa di fuoco.

Di grande impatto estetico e visivo, la pellicola si presenta come una summa della vita umana e artistica di Abramović, anche se stilisticamente si configura come molto diversa rispetto ai suoi lavori del passato in cui il coinvolgimento e lo sforzo fisico dell’artista erano obiettivamente più significativi. Il connubio tra la musica operistica e il pathos delle immagini travolge però il pubblico che esce dalla piccola sala cinematografica, realmente consapevole di aver assistito a qualcosa che, nonostante le “sette morti” del titolo, è ben lungi dall’oblio e dal disfacimento solitamente associati al concetto di morte: è il testamento spirituale e artistico che Marina Abramović, alle soglie degli ottanta anni, lascia dietro di sé.
Between breath and fire
Dal 14 settembre 2024 al 16 febbraio 2025
Gres Art 671 – Bergamo
info: gresart671.org/it