IA e arti visive: discorsi sul diritto d’autore

Intervista a Bernardino Sassoli de’ Bianchi, professore e socio fondatore di deepers.ai e a Luna Bianchi, giurista e CEO e socia fondatrice di Immanence

Di chi è la proprietà di un’opera che viene generata da un algoritmo “addestrato” sui dati di migliaia o milioni di autori o opere? E di chi sono i diritti d’autore sull’opera così generata? Sono alcuni degli interrogativi posti a Bernardino Sassoli de’ Bianchi, consulente strategico, professore di Logica e Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano e socio fondatore di deepers.ai e a Luna Bianchi, giurista, manager e CEO e socia fondatrice di Immanence, che attraverso il duplice filtro della ricerca accademica e dell’esperienza professionale offrono alcuni spunti di riflessione su uno dei temi più attuali: quello del rapporto tra intelligenza artificiale e arti visive.

Una definizione di intelligenza artificiale, machine learning e i dati di addestramento?

Bernardino Sassoli de’ Bianchi: Già nel 1950, il grande matematico e logico Alan Turing, il quale diede la prima descrizione astratta di un computer universale, si chiese se fosse possibile programmare una macchina in modo tale che pensasse in maniera indistinguibile da un essere umano. E pochi anni dopo, nel 1956, l’informatico americano conia appunto il termine “intelligenza artificiale” per descrivere il campo di studi che esamina la possibilità che “ogni aspetto dell’apprendimento o qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza possa essere descritto con tale precisione che una macchina può essere progettata per simularlo”. Anche se non esiste una definizione condivisa, per intelligenza artificiale si intende appunto la disciplina che studia come riprodurre in computer e robot comportamenti e funzioni che tradizionalmente si ritenevano eseguibili solo da esseri intelligenti, come gli umani. Per estensione, si usa questo termine per indicare non la disciplina ma le funzionalità, i software stessi: per esempio è in questo senso che si sentono oggi frasi come “l’intelligenza artificiale sostituirà gli artisti”.

Oggi con il termine IA ci riferiamo quasi esclusivamente a programmi di “apprendimento automatico” (machine learning), cioè la modalità di programmazione che, anziché cercare di dare regole esplicite alle macchine, lascia che queste ultime ricavino tali regole attraverso l’esposizione a un numero (di solito) molto ampio di casi (i cosiddetti dati di addestramento). Così per esempio, immaginando di volere programmare un software che riconosca le varie razze canine, anziché dire esplicitamente alla macchina “se il cane ha gli occhi azzurri e le orecchie a punta è un husky siberiano”, si “addestra” la macchina esponendola a un gran numero di foto di husky nella speranza che attraverso un processo di prove ed errori impari ad associare certe “features” quali gli occhi azzurri e le orecchie a punta a una certa razza. Sono esempi di machine learning gli algoritmi noti come reti neurali, che oggi sono alla base di quasi tutte le applicazioni più note, inclusi i Large Language Model alla base di applicativi come il celeberrimo ChatGPT.

Cosa si intende per IA generativa e quali sono le sue principali applicazioni generativa nel campo delle arti visive?

BSB: Una data “spartiacque” nell’IA è il 30 novembre 2022, quando viene lanciata sul mercato appunto ChatGPT. Poche settimane dopo, raggiunti i 100 milioni di utenti, l’app di OpenAI era divenuta l’applicazione software cresciuta più velocemente nella storia. Si può ben dire che si tratta del momento in cui l’IA diventa mainstream. Da allora quando si parla di IA ci si riferisce spessissimo se non esclusivamente alla cosiddetta IA generativa: a differenza di altri modelli di IA che possono solo classificare o analizzare dati esistenti, le IA generative sono in grado di generare testo, immagini, musica, video e altre forme di contenuto a partire da input o parametri specifici. Chiaramente gli utilizzi di questi modelli nell’ambito delle arti visive riguardano soprattutto gli artisti. Di base troviamo due “macro-atteggiamenti”. C’è una minoranza di artisti che sta abbracciando queste nuove tecnologie interpretandole come strumenti che coadiuvano la creazione artistica. Ma dall’altra parte moltissimi esibiscono un marcato scetticismo: proprio in questi giorni (31 agosto) lo scrittore Ted Chiang ha pubblicato un articolo sul New Yorker sostenendo che un’IA non può creare arte. Il problema ruota attorno alla definizione di creatività e originalità nell’arte – nel senso che non è chiaro in che misura un’IA generativa possa generare contenuti che non siano rielaborazioni dei propri dati di addestramento.

Midjourney: Giulia Cenci, The Wave, opera inesistente generata dall’IA

Le applicazioni dell’IA in campo artistico non si limitano alla creazione di opere d’arte tramite IA generativa. Quali sono le ulteriori utilizzazioni di IA in arte?

BSB: Ce ne sono moltissime. Nel restauro e nella conservazione gli algoritmi possono ricostruire parti mancanti o danneggiate di dipinti e sculture analizzando dati da opere simili o utilizzando tecniche di interpolazione. Nella catalogazione possono aiutare a catalogare e classificare grandi collezioni identificando in modo massivo stili, periodi storici, e attributi visivi. In modo simile, esistono software di analisi dello stile e del contenuto per determinare influenze stilistiche, attribuzioni e relazioni tra artisti. Sempre nel collection management gli algoritmi possono aiutare a generare metadati per opere d’arte, come descrizioni, dati storici e contestuali, migliorando l’accessibilità e la comprensione delle collezioni. Per finire, quello che è forse l’applicazione più nota al grande pubblico è nell’ambito della visitor experience: l’IA viene spesso utilizzata per creare esperienze interattive nei musei e nelle gallerie, come guide virtuali, esposizioni personalizzate e strumenti educativi.

Di chi è la proprietà intellettuale di un’opera che viene generata da un algoritmo “addestrato” sui dati di migliaia o milioni di autori o opere?

Luna Bianchi: Come sempre quando si parla di IA, il tema della tutela delle opere create con il supporto di un modello di IA generativa è al centro di un dibattito molto polarizzato. Da una parte c’è chi ritiene che “l’arte può crearla solo l’essere umano”, come se tutti gli altri strumenti che abbiamo sempre utilizzato per fare arte non fossero già “artificiali”;  dall’altra chi non crede ci sarebbe nulla di male, e anzi sarà forse naturale, riconoscere il diritto d’autore in capo alle IAA stesse, attribuendo loro capacità giuridica autonoma. 

Oggi, però, possiamo identificare una certa omogeneità tra le diverse giurisdizioni che, a parte alcune eccezioni, tendono a riconoscere una tutela di diritto d’autore in capo a chi crea opere con uno strumento di IA, quando sia dimostrabile un “sufficiente” intervento umano. Quando, cioè, l’essere umano effettui una concreta direzione artistica, possa documentare le scelte che ha preso, raccontare il processo creativo e l’utilizzo dell’IA come strumento di ampliamento – e non sostituzione – della propria percezione ed interpretazione del mondo. 

Midjourney: Gian Maria Tosatti, The Bridge, opera inesistente generata dall’IA

L’IA generativa come Photoshop, quindi, o come un artigiano che lavora alla produzione di sculture o forme d’arte visiva (proprio su questo si è espresso pochi mesi fa il Tribunale di Parigi ribadendo come non sia possibile riconoscere nessun diritto di paternità in capo agli artigiani che lavorano alla produzione di un’opera commissionata da un artista, ribadendo che – nel caso specifico – solo Maurizio Cattelan può essere considerato l’ideatore e autore delle sue opere ai fini del diritto d’autore). Questa soluzione giuridica sembra poter funzionare, almeno in questa prima fase di transizione. Ma è importante ricordare che l’automazione di un processo umano, come quello creativo, richiede di osservare quali cambiamenti comporta e che impatti ha sul medio e lungo periodo. È facile infatti, che le regole ideate in un contesto diverso, quasi 200 anni fa se consideriamo il diritto d’autore, non si adattino più alle esigenze attuali e che sia necessario decostruire alcune strutture dalle fondamenta affinché possano essere ridisegnate e rispondere adeguatamente – e con giustizia – al nuovo contesto.

In quale prospettiva si pone il tema dell’autorialità e del diritto d’autore per l’arte creata attraverso sistemi di IA?

BSB: Ci sono (almeno) due ordini di problemi, uno più giuridico, per il quale rimando a Luna Bianchi, e uno invece più filosofico, che è quello dell’autorialità in senso stretto. C’è un saggio del 1969 in cui il filosofo francese Michel Foucault già dal titolo si chiedeva “Che cos’è un autore?” e invitava a problematizzare tale concetto sostituendolo con quello di “funzione-autore”. A me pare che oggi più che mai dobbiamo ripensare la nozione di autorialità – perché con l’IA viene messo in discussione uno degli aspetti che più diamo per scontati, cioè che esista un nesso causale tracciabile in modo abbastanza semplice tra l’intenzione di un individuo (l’autore) e l’opera d’arte da questi prodotta. Ecco, quest’idea viene disgregata quando pensiamo al caso di un’opera prodotta da un artista tramite un prompt testuale che fa da input a un’IA che rielabora statisticamente il rapporto tra quel prompt e milioni di altre immagini che fanno parte del suo set di dati di addestramento. Nel senso che mentre possiamo facilmente – almeno in linea di principio, se non in pratica – “tracciare” un rapporto causa-effetto tra diciamo il personaggio storico Andrea Mantegna di rappresentare un certo corpo in un certo modo e il Cristo Morto che stiamo osservando, questa rete di nessi causali viene completamente destrutturata nei contenuti prodotti dall’IA generativa, costringendoci a ripensare il concetto di autore.

Midjourney: Maurizio Cattelan, The Puppet Master, opera inesistente generata dall’IA

LB: C’è un altro tema che dobbiamo considerare, e che ha a che fare con la più grande questione dell’automazione di attività tipicamente umane, che sia il processo decisionale o il processo creativo per esempio. E l’automazione di questi processi ci interessa in primis per la diversa scala degli impatti che ne derivano. Rispetto  “al diritto d’autore ai tempi dell’intelligenza artificiale” uno dei nodi principali sta proprio qui: il processo di astrazione dell’IA generativa che, acquisita la base di conoscenza (knowledge base) attraverso la fase di addestramento, produce un output generalmente diverso dalle opere utilizzare proprio nella fase di training, è un processo creativo assimilabile a quello umano? E da qui ulteriormente, gli autori delle opere utilizzate per l’addestramento di un IA generativa devono essere ricompensati per questo sfruttamento, e nel caso come, sulla base di cosa, su che metriche e con che limitazioni?

Pur non sapendo descrivere accuratamente come funzioni il processo creativo umano, come avvenga la rielaborazione umana di immagini, testi, suoni ed esperienze che porta alla creazione di un’opera d’arte, ci possiamo facilmente rendere conto che il processo automatizzato è diverso. Non solo possiamo quasi “assistere” al rimescolamento dei dati di training, perché sappiamo precisamente quali sono le immagini, testi o suoni utilizzati per il training, ma possiamo anche produrre un numero decisamente maggiore di output in un arco temporale brevissimo (con differenze non banali anche sotto il profilo energetico visto quanto consuma addestrare un modello di IA generativa).  

È proprio questa differenza di scala, nel numero di dati di input tracciabili e dei possibili output, che ci porta a dover guardare con occhi nuovi il diritto d’autore, ad osservare bene gli impatti che derivano dall’automazione del processo creativo, e analizzare come si trasforma il contesto per capire come esercitare quel bilanciamento necessario tra diritto degli autori e interesse pubblico. Nonostante ci siano diverse voci che ritengono che il processo automatizzato sia sostanzialmente sovrapponibile, nella pratica, a quello umano (“gli esseri umani hanno sempre fatto così”) o che non rilevano alcuna necessità di ripensare al diritto d’autore perché le prassi e il mercato troveranno soluzioni che potranno soddisfare le parti, io ritengo invece che sia necessario uno sforzo di immaginazione, e ancora più una volontà di governance di questa trasformazione in atto. Non solo per tutelare i soggetti che facilmente rimarranno incastrati negli ingranaggi dell’utopica capacità auto-regolatoria del mercato, ma soprattutto per tenere il punto, e permettere al diritto d’autore di svolgere uno dei ruoli principali che gli è stato affidato, bilanciare i diversi interessi per il benessere collettivo.

  • Per approfondimenti sul tema, Bernardino Sassoli de’ Bianchi, “IA e arti visive: una brevissima introduzione”, in AA. VV., Il diritto e la fiscalità dei mercati internazionali dell’arte, a cura di Silvia Stabile (Wolters Kluwer, 2024).