Contemporanea, contemporanee. A Tagliacozzo una rassegna che parla al plurale

È giunta al termine l’undicesima edizione di Contemporanea: un evento più ampio, votato alla pluralità di prospettive, nel  piccolo borgo di Tagliacozzo, gioiello delle terre marsicane

Si è conclusa, il 10 settembre 2024, l’undicesima edizione di Contemporanea, inaugurata, nella cornice d’eccezione del palazzo ducale Orsini-Colonna di Tagliacozzo lo scorso 3 agosto, La rassegna, nata nel 2012 per volontà dell’artista Emanuele Moretti allo scopo di promuovere la ricerca di giovani artisti italiani e internazionali, si inserisce perfettamente in un quadro generale di valorizzazione culturale della città, già sede del FIME (Festival Internazionale di Mezza Estate), che proprio quest’anno celebra i suoi quarant’anni. Per l’edizione 2024, le chiavi del progetto sono state consegnate da Moretti – direttore artistico di Contemporanea – Cesare Biasini Selvaggi che, in veste di curatore, ha organizzato un piano tripartito di mostre, diversificate per temi e aree geografiche di riferimento: Abruzzo Contemporaneo, un focus sulla ricerca artistica regionale; Costruire nuovi mondi, titolo del tema prescelto per la terza edizione del Contemporanea Prize, che ospita i lavori dei dieci artisti finalisti; infine, La pittura del presente: una prospettiva globale, che invece ha passato in rassegna alcune tra le varie declinazioni di un medium tornato maggiormente in voga nei tempi recenti. 

Abruzzo Contemporaneo, exhibition view, Palazzo Ducale Orsini-Colonna, Tagliacozzo, 2024.
Photo Giulia Pontoriero

Abruzzo Contemporaneo. Focus sull’arte emergente

Abruzzo contemporaneo. Focus sull’arte emergente è una ricognizione sulla produzione artistica regionale, che comprende 19 artisti sotto i quarant’anni (Francesco Alberico, Giuditta Branconi, Simone Camerlengo, Matteo Capriotti, Beatrice Celli, Francesco Ciavaglioli, Serena Ciccone, Alessandro D’Aquila, Daniele Di Donato, Daniele Di Girolamo, Elio Di Paolo, Silvia Mantellini Faieta, Emanuele Moretti, Gioele Pomante, Maura Prosperi, Sofia Ricciardi, Letizia Scarpello, Eliano Serafini, Davide Serpetti) e che segnala, in alcune proposte specifiche, una buona (e talvolta ottima) qualità complessiva. La proposta di Letizia Scarpello, ad esempio, si gioca sulla compresenza di un tessuto color arancio a bande, collocato tra le due finestre della sala, e un cilindro nero in gommapiuma a pochi metri di distanza. La sua ricerca, sul punto di convergenza con il design (formatasi all’Istituto Marangoni, dopo un soggiorno a Londra ha studiato Scenografia all’Accademia di Brera) è raffinata, pulita ed elegante nell’economia di mezzi: le sue installazioni, inoltre, si pongono come segnalatori spaziali, come ingombri che interrompendo il vuoto spingono lo spettatore ad interrogarsi sulla sua presenza nel tempo e nello spazio. Silvia Mantellini Faieta, invece, presenta un intervento complesso, composto da un video e una serie di 27 disegni a penna posizionati su un tavolo in legno. Quello di Mantellini Faieta è un lavoro che incrocia media differenti, e che tuttavia non perde, nella specificità del video come della grafica, la delicatezza richiesta a chi intende trattare questioni altrettanto spinose, come l’esperienza individuale rigenerata e tradotta in espediente “politico” per mezzo dell’empatia e della connessione con i luoghi dell’abitare. 

Daniele Di Girolamo e Beatrice Celli, poi, ampliano la dimensione dell’esperienza spettatoriale: il primo si avvale di un vocabolario consolidato di sculture sonore mentre la seconda invade lo spazio della sala con l’odore di incenso rituale, sprigionato dall’interno di un maiale in terracotta, animale la cui pelle nel folklore popolare è impiegata per curare il “fuoco di Sant’Antonio” (herpes zoster). Anche Sorella Carovana (2018) è un’opera che risente, come tutta la ricerca di Celli, dell’attrazione e dello studio del patrimonio folkloristico regionale: influenzata dagli scritti di Ernesto De Martino, Celli risolve la “crisi della presenza” per mezzo di un situarsi laterale e periferico rispetto ai centri geografici, politici e culturali dominanti, tramite un sentire comune, comunitario e antico che rappresenta l’antidoto allo straniamento diffuso dell’uomo moderno. Le sperimentazioni materiche e cromatiche di Emanuele Moretti, che sin dagli inizi della sua carriera ha avviato una ricerca scientifica su pigmenti e composti chimici, sono invece applicazioni di problematiche scientifiche sulla pittura, studi divenuti, col tempo, interrogazioni più ampie su questioni di fisica quantistica – nello specifico , sui rapporti tra visibile e invisibile, tangibile e intangibile.

Abruzzo Contemporaneo, exhibition view, Palazzo Ducale Orsini-Colonna, Tagliacozzo, 2024.
Photo Giulia Pontoriero

È di Eliano Serafini, però, il lavoro più maturo: i suoi due interventi, scarni ma dotati della forza di quelle opere che si introducono con rara naturalezza nel contesto espositivo, sono veri e propri saggi di “decultura” – prendendo in prestito il termine dagli scritti di Germano Celant – che, come notato correttamente dal curatore, “decostruiscono gli elementi fondanti e gli stereotipi della cultura antropocentrica contemporanea” per “liberare vitalismo primigenio e suggerire insolite narrazioni laterali”. Anche Davide Serpetti, scrive il curatore, “prendendo le mosse da un atteggiamento analitico verso il modello culturale occidentale e le sue rappresentazioni simboliche, mira a indurre uno spiazzamento del senso culturale comune”. Le sue tele sono abitate da eroi e antieroi: tra i soggetti delle sue tele (in mostra due lavori del 2023) anche gli attori cinematografici (gli “eroi” di oggi), dissezionati e tramutati in creature ibride, “mutanti”, che interrogano lo sguardo sull’interregno in cui viviamo, chiedendo all’occhio e alla mente di prendere coscienza della frattura che separa il passato, la storia e i suoi modelli, dai tempi a venire. Meno incisivi, sicuramente, i lavori di Matteo Capriotti, di Francesco Ciavaglioli o di Alessandro D’Aquila: quest’ultimo, nello specifico, con le sue tre tavole optometriche –  “omaggi” a D’Annunzio, Leopardi e Cecco Angiolieri che sfumano in righe di codice Braille –  intende mettere in crisi il rapporto a senso unico intrattenuto dall’uomo con il linguaggio, condannando tuttavia la sua pratica a ricadute di maniera e all’immediatezza estrema, che esaurisce sin da subito l’esperienza estetica.  

Costruire nuovi mondi

Costruire Nuovi Mondi, exhibition view, Palazzo Ducale Orsini-Colonna, Tagliacozzo, 2024.
Photo Giulia Pontoriero

Sono dieci i finalisti (Antonio Barbieri, Beatrice Celli, Benedetta Cocco, Andrea Crespi, Ohii Katya, Bekim Hasaj, Ilaria Feoli, Sofia Ricciardi, Mattia Sugamiele, Vaste Programme), tutti artisti under 40, a figurare nella mostra Costruire nuovi mondi, titolo e tema della terza edizione del Contemporanea Prize. Ad essere premiati, sono stati coloro che hanno saputo interpretare al meglio le suggestioni e le sfide proposte dal curatore. Nello specifico, mettere al mondo “immaginari inediti, che vogliono spingere chi fa esperienza dell’opera d’arte a immergersi in dimensioni parallele, dove si sovvertono logiche standardizzate e misurabili”. I tre premi in denaro sono stati assegnati sulla base di un confronto tra tre giurie differenti: una giuria scientifica (Cesare Biasini Selvaggi, Davide Sarchioni, Efisio Carbone, Alessandro Castiglioni, Maria Vittoria Pinotti), è stata affiancata da una giuria tecnica (Vincenzo Giovagnorio, Chiara Nanni, Jacopo Sipari) e dalla giuria del premio (Emanuele Moretti, Alberto Di Fabio, Arianna Sera, Rosaria Madeo, Giulia Pontoriero, Laura Catini, Serena Santoni).  Il premio della Fondazione Luciano Ventrone è stato assegnato a Vaste Programme, duo nato nel 2017 e composto da Leonardo Magrelli (1989) Giulia Vigna (1992), che per l’occasione ha presentato uno dei primi lavori. Le nostre radici, del 2017, è un’installazione ongoing che raccoglie una serie di fotografie stampate sui profumatori per auto Arbre Magique. Strutturalmente, i lavori di Vaste Programme sfruttano un effetto di straniamento ironico, una compostezza formale che mostra, senza retorica, i “temi del del cambiamento climatico” e le “modalità di fruizione della tecnologia da parte del pubblico di massa”. 

Costruire Nuovi Mondi, exhibition view, Palazzo Ducale Orsini-Colonna, Tagliacozzo, 2024.
Photo Giulia Pontoriero

Il secondo premio in denaro invece è andato a Sofia Ricciardi, grazie al collage è giorno svegliarsi (2024), mentre è stato Antonio Barbieri (1985) ad aggiudicarsi la residenza di un mese, a Treviso (21 Gallery di Alessandro Benetton). La sua Chimera (2023) è una pianta fiorita in acciaio, ferro, pittura a olio e resina epossidica, costruita “a partire dall’acquisizione di dataset ambientali e dalla conseguente sperimentazione di metodologie e processi in cui è centrale l’impiego di tecnologie digitali” (Davide Sarchioni). Altri lavori di particolare interesse sono le Poupées (2018 )di Beatrice Celli, bambole multimateriche nelle quali è evidente la fascinazione dell’artista per il patrimonio culturale e magico-rituale del centro Sud, e l’Anatomia di un corpo (2024) di Benedetta Cocco (1997). Il groviglio di funi policrome si annoda, espandendosi e ritraendosi al contempo, per simboleggiare un’inchiesta sul tempo che passa, sulla memoria e sul passato da intendersi nell’accezione individuale ma soprattutto collettiva: “L’annodamento e la tessitura delle corde – come riporta il catalogo – può durare per un tempo infinito, permettendo alle strutture di crescere senza limiti, così come le “reti sociali”, i sistemi di legame tra persone e natura”.  

La pittura del presente: una prospettiva globale

È la “rivoluzione silenziosa” della pittura – nelle parole del curatore –  la protagonista dell’ultimo affondo tematico della rassegna, dedicato a uno dei media tradizionali che, specialmente sul versante più classico e “narrativo”, sta attraversando, negli ultimi anni, una fase di grande fortuna. I 26 autori selezionati in mostra vogliono offrire una prospettiva globale, appunto, un discorso non centrato sul contesto europeo, o comunque occidentale, a prescindere da una volontà, più o meno marcata, di raccontare storie: muovendosi, talvolta, sul crinale che separa le categorie rigide di astrazione figurazione, e oltrepassando le altrettanto stringenti classificazioni di genere (ritratto o paesaggio, ad esempio).

Painting in the Global Present, exhibition view, Palazzo Ducale Orsini-Colonna, Tagliacozzo, 2024. Photo Giulia Pontoriero

Di particolare interesse è il “gigantismo” intimista di Laura Berger (1979), che avvalendosi di una tavolozza relativamente sobria (a dominare sono le gradazioni di un arancio-pesca per le figure e, a contrasto, i toni dell’oltremare per la definizione di un piano di superficie), mette in scena una quotidianità silente, dove le due figure sono apparizioni fantasmatiche, quasi eteree – i loro corpi sono pressoché trasparenti, e lo spessore della carne non ostacola la visione dall’interno. Mary Devincentis (1948) lascia entrare lo spettatore in un mondo sospeso, e tuttavia connotato da una più marcata vena ironica (nel catalogo si fa riferimento a una “metafisica tenera”): qui, nel bel mezzo di un giardino fiorito, circondato da alberi costruiti su rapidi accenni di pennello, un uomo rivolge il suo sguardo a una voragine (?) nel terreno. L’atmosfera da cartoon di Holly Halkes (1985) è, forse, troppo debitrice della lezione di un artista come Philip Guston – in particolare, nell’insistenza sulla distorsione degli arti, e sull’anatomia deformata elevata a vero e proprio soggetto dell’opera (nel quadro in mostra, braccia e gambe intente ad afferrare cibo vengono aggredite da due gabbiani).

Analoghe ascendenze gustoniane, pur se trasposte in una generale desaturazione cromatica, sono rinvenibili anche in Sophie Ullrich (1990), che, contrariamente ad Halkes, si mostra più attenta ad isolare i soggetti di rappresentazioni, oggetti d’uso comune privati, con un’ironia meno esplicita, di scopo e destinazione. Meno efficace la tavolozza ipersatura di Taedong Lee (1989), l’espediente narrativo di Aisha Christison (1989), così come i close-up dal taglio fotografico di Emiliana Henriquez (1986) Sun Jing (1986), compromessi anche dal ricorso – ormai un po’ di maniera – al monocromo (una tendenza ravvisabile anche nel lavoro di Salomè Wu).

Painting in the Global Present, exhibition view, Palazzo Ducale Orsini-Colonna, Tagliacozzo, 2024. Photo Giulia Pontoriero

Convincenti, invece, il gioco di rarefazione di Sebastian Hidalgo (1985), la convivenza proficua di più media nel lavoro di Darin Cooper (2000), rivolto all’esplorazione della vicenda afroamericana nel sud degli Stati Uniti, e la morbidezza “diaframmatica” di Azadeh Elmizadeh (1987), che “cattura le impressioni dei suoi soggetti come se guardasse attraverso un caleidoscopio”, restituendo una visione ammorbidita di figure appena evidenti, che divengono, nella presenza del filtro, “miraggi della memoria del passato oscillanti sulla soglia del presente”. 

Articoli correlati