I lavori di Diego Marcon sembrano sfuggire al comune senso di comprensione, sempre che farsi comprendere sia il loro fine. Attirati da forme piacevoli gli spettatori si trovano coinvolti sentimentalmente, poi disturbati, poi sospesi e solo in terza battuta, come una mano sconosciuta sulla spalla nelle ultime fila di un cinema, toccati da un sentimento: l’ironia. Questa però, dopo la
sorpresa iniziale, non risolve piuttosto illumina gli altri in un’eterna presenza di emozioni antitetiche. L’artista infatti utilizza spesso la figura del bambino capace di suscitare tenerezza e paura contemporaneamente. Così nella recente personale Glassa al Centro Pecci di Prato cani, cagnolini, cagnetti, in ceramica, inchiodati al muro, dopo aver attirato la nostra attenzione con le loro forme
e colori kitsch ci lasciano un sentimento di indefinito.




Sono cani sì, ma sono morti. E se è vero che non conosciamo sculture con una vita biologica simile alla nostra è altrettanto vero che spesso queste stesse sculture sono state realizzate per rappresentare la vita: non sembra però essere questo il caso. Si genera un loop, altro elemento classico della filmografia di Marcon, che gira a vuoto, scavalca il soggetto e continua a frullare nella testa senza mai arrivare a una soluzione precisa. Confusi abbandoniamo la sala, cagnetti alla spalle, con questo ammasso di sensazioni.



Sensazioni che diventano parole nel libro firmato dallo stesso artista Oh mio cagnetto: “Oh mio cagnetto sei stato murato/Assieme alla calce tutto mischiato/Tirate poi su le quattro pareti/Quella è la stanza dei nostri segreti”.

Biografia di Diego Marcon
La pratica di Diego Marcon (Busto Arsizio, 1985) si concentra principalmente sull’immagine in movimento, incentrata sull’indagine degli archetipi cinematografici in un processo che combina approcci teorici e strutturali al cinema, con gli atteggiamenti sentimentali dei generi cinematografici popolari. Le sue opere – che spaziano tra film, video e installazioni – utilizzano spesso una struttura a loop per articolare una visualizzazione emotiva che “flirta” con gli aspetti patetici dell’intrattenimento popolare e, allo stesso tempo, richiama l’attenzione sui media stessi. In tutto il lavoro di Marcon, l’empatia e la vulnerabilità sono impiegate con un’ambiguità intenzionale, tanto che l’uso strumentale delle loro forme e figure costituisce una moralità sfocata. Questa ambiguità è vista da Marcon innanzitutto come un’arma politica di sfida. Tra le mostre principali in giro per il mondo dell’artista le personali La miserabile a La Triennale di Milano nel 2018, Have You Checked the Children alla Kunsthalle di Basilea nel 2023 e Glassa al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.
*L’articolo è stato pubblicato sul numero #130 di Inside Art.