«È gran cosa che in tutte quelle virtù et in tutti quelli esercizii ne’ quali, in qualunche tempo, hanno voluto le donne intromettersi con qualche studio, elle siano sempre riuscite eccellentissime e più che famose»: con questo breve incipit, il toscano Giorgio Vasari – primo storico dell’arte nell’era moderna – avviava, sia nella sua Giuntina che nella Torrentiniana, la “Vita di Madonna Properzia De’ Rossi, scultrice bolognese”.

Nata a Bologna nel 1490 e considerata unanimemente dalla critica e dalle fonti come il primo esempio di scultrice in Europa, la presenza inconsueta di una donna nel cantiere artistico della basilica bolognese di San Petronio tra il 1525 e il 1526 – contesto di assoluto appannaggio maschile – che osa mettere le «tenere e bianchissime mani nelle cose meccaniche, e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro» attira immediatamente l’attenzione del Vasari, il quale non esita ad elogiarla nel suo capolavoro letterario.

Sebbene le pagine a lei dedicate siano a malapena due, il ritratto che ne fuoriesce è quello di una «giovane virtuosa non solamente alle cose di casa ma anche alle scienze», ma anche quello di una donna inquieta e dal carattere indomito: alcuni documenti conservati nell’Archivio criminale di Bologna, tramandano infatti la sua condanna a un processo. La sua colpa? Essere una concubina. Nel 1525 una nuova sentenza, questa volta per aggressione ai danni del pittore Vincenzo Miola. Properzia De’ Rossi muore tragicamente durante la peste che imperversava Bologna, nel 1520: solo pochi giorni prima papa Clemente VII – a Bologna per l’incoronazione di Carlo V – e a conoscenza del suo talento, aveva espresso il desiderio di incontrarla.
Properzia De’ Rossi nella storia dell’arte
La vita dell’artista risulta ancora oggi, abbastanza lacunosa: tra le sue opere più impressionanti alcuni intagli precisi e minuti realizzati su noccioli di frutta, incastonati come cammei. La sua scultura più celebre è però il bassorilievo in marmo raffigurante la scena della Genesi di Giuseppe e la moglie di Putifarre, «opera da tutti riputata bellissima et a llei di gran sodisfazzione, parendole con questa figura del vecchio Testamento avere isfogato in parte l’ardentissima sua passione» e apprezzata persino dal Parmigianino: una sintesi tra la compostezza di Raffaello e la plasticità di Michelangelo. La formella è attualmente conservata a Bologna, presso il Museo diocesano di San Petronio.

La reinterpretazione così laica e coinvolgente di un tema religioso, sembra aver colpito l’immaginario visivo di artisti a lei successivi: Ludovico Cardi detto il Cigoli, che attorno al 1610 dipinge una tela dalla forte enfasi teatrale e il Guercino, pochi anni dopo, il medesimo soggetto e le medesime intuizioni stilistiche di Properzia. Entrambi gli artisti sono poi bolognesi, quindi è assai probabile che fossero a conoscenza della formella marmorea che adornava il lato ovest della Basilica di San Petronio.

Cigoli, Giuseppe e la moglie di Putifarre, 1610, Olio su tela, Galleria Borghese, Roma

Properzia «fu del corpo bellissima, e sonò, e cantò ne’ suoi tempi, meglio che femmina della sua città»: questa è l’unica sua descrizione che abbiamo, oltre al ritratto contenuto nelle Vite. Questa coraggiosa donna ha subito conquistato nel tempo l’immaginario visivo di alcuni suoi colleghi. Compare nell’incisione di Nicolas de Larmessin come illustrazione per l’Academie des Sciences, et des Arts nel 1682 e in quella di Joachim von Sandrart, in cui l’artista diventa un’ aristocratica dallo sguardo fiero e finemente vestita con maniche a sbuffo e collana in perle. E ancora, nell’olio su tela del pittore francese Louis Ducis, allievo di Jacques-Louis David, in cui traspare tutta la bellezza, il talento, l’intraprendenza e la libertà di una donna, che con determinazione, in un modo di soli uomini, è riuscita ad esistere.