Come non iniziare dal giardino più seducente dell’arte occidentale, la Primavera di Sandro Botticelli realizzata per la villa medicea di Castello intorno al 1480 e oggi agli Uffizi. Emblema della pittura fiorentina di età laurenziana, è una delle più importanti allegoria pagane della storia dell’arte post-classica nonché visivamente ancora oggi simbolo collettivo del ricordo primaverile. «Una Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera» appuntava Giorgio Vasari nelle sue Vite, interpretazione iconografica che ha suggestionato per secoli la storia dell’arte.

Nel corso del ‘600, con lo sviluppo dell’arte fiamminga, la produzione della pittura floreale o di simboli strettamente legati ad essa, diventa uno dei momenti più alti della vanitas: i piccoli dipinti di Jan van Kessel ne sono concreta testimonianza con raffigurazioni riguardanti temi naturali, scene allegoriche sul mondo animale e vegetale, tavole imbandite di fiori e nature più vive che morte.



Troviamo poi i paesaggi di Katsushika Hokusai, l’esponente più conosciuto dell’dell’ukiyo-e giapponese e vissuto a cavallo del ‘700 e dell’800. L’orientale ispirò fortemente il movimento impressionista, fautore di un’arte che non è pura mimesis ma traduzione concreta di un mondo che nasce all’interno della mente dell’artista.


Il Campo di grano verde, Iris e il famosissimo Ramo di Ciliegio: tre capolavori del geniale Van Gogh, pittore tormentato e incompreso che nelle sue tele non ha mai smesso di ricercare alla luce, alla bellezza, al fiorire di una vita che sembrava proprio non volerlo capire. «Cerca la luce e la libertà e non meditare troppo sui mali della vita», scriveva non a caso nelle lettere a suo fratello Theo, raccolte tra il 1872 e il 1890.

Passiamo poi all’immaginario visivo di Alphonse Mucha, immerso in scenari onirici popolati da dee e ninfee, che hanno ammaliato per anni l’Art Nouveau nel suo ritorno alla purezza e alla bellezza delle forme naturali. Un nuovo linguaggio floreale, una sintesi tra l’arte plastica occidentale e quella eterea orientale, dove le donne sono assolute protagoniste in un’arte che ne comincia a celebrare l’emancipazione.


Per il mondo della fotografia troviamo Louise Dahl-Wolfe con Joan Fontaine; la pratica documentarista di Gordon Parks attraverso una macchina fotografica che diventa potente strumento di critica socio-politica e la travolgente poetica di Carrie Mae Weems con May Flowers.



L’arte e la primavera, uno dei connubi più antichi della storia dell’arte continua a vincere e con-vincere anche gli artisti più contemporanei. Basti pensare alla serie Hawthorn Blossoms del pittore britannico David Hockney, artista che proprio come Claude Monet – di cui a questo punto ricordiamo La primavera – è affascinato dai colori e dalle mutazioni della luce. Le scene di campagna da colori vivaci rendono i suoi dipinti letteralmente «felici», come più volte sono stati definiti.


Concludiamo con Tracey Emin, i cui uccellini – annunciazione di clima mite e da lei chiamati «angels of this earth» – sono motivo ricorrente del suo lavoro. Una rinascita e una primavera che in realtà sono innate in lei, già al principio della sua vita: scrive infatti nella sua biografia «quando sono nata, pensarono che fossi morta», e invece.
