Palazzo Reale a Milano propone sino al prossimo febbraio la mostra Teatralità. Architetture per la meraviglia che raccoglie 60 fotografie dell’artista, filosofa e antropologa torinese Patrizia Mussa. L’esposizione è curata da Antonio Calbi e fa parte del progetto “Prima Diffusa” (patrocinato da Edison in collaborazione con il Teatro alla Scala e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano), un ciclo di eventi culturali, conferenze e performance, organizzato a contorno della Prima della Scala, evento fondamentale della vita milanese che si tiene tradizionalmente la sera del 7 dicembre e apre la stagione scaligera.

La mostra è stata inaugurata il 6 dicembre, dunque alla vigilia della Prima, ed espone le fotografie che Mussa ha realizzato all’interno dei teatri d’opera di tutta Italia, nel corso della sua ricerca artistica e filosofica che pone al centro l’architettura e il paesaggio. Il Teatro Argentina di Roma, il Teatro di Corte della Reggia di Caserta, il Teatro Grande di Brescia, il Teatro Olimpico di Vicenza, il Teatro La Fenice di Venezia e – naturalmente – il Teatro alla Scala di Milano sono solo alcuni dei protagonisti degli scatti, immortalati vuoti e silenziosi, privi della frenesia che li invade durante le rappresentazioni.
Il progetto ha altresì l’obiettivo di promuovere la conoscenza della storia di Palazzo Reale nonché il suo stretto rapporto con la tradizione teatrale milanese. Sino al 1776 circa, infatti, esso ha ospitato degli spazi adibiti a teatro: prima il cosiddetto Salone Margherita tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVIII secolo; poi il Regio Ducale Teatro fino agli anni ’70 del XVIII secolo, quando un incendio ne ha causato la distruzione. Fu così che, per volere di Maria Teresa d’Austria, fu fatto costruire dall’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini il Teatro alla Scala (così chiamato perché sorgeva presso l’area della ex chiesa di Santa Maria alla Scala), nella posizione che conosciamo oggi. Anche Palazzo Reale, dunque, ha avuto un ruolo nella storia teatrale milanese che viene rievocato e valorizzato da questa mostra, realizzata appunto in occasione dell’evento clou del cartellone scaligero.

Ma non è tutto, l’esposizione può essere riassunta in una parola-chiave: sinestesia.
All’allestimento ha infatti contribuito anche Scent Company, azienda specializzata nella produzione di profumi e diffusori di fragranze per ambienti: le sale del piano nobile di Palazzo Reale occupate dalla mostra sono infatti caratterizzate da quello che, nel pannello introduttivo, è stato definito un “allestimento olfattivo”, realizzato proprio tramite alcuni diffusori di fragranza nascosti lungo il percorso e accompagnati da altrettante casse musicali che trasmettono brani tratti dalle più note opere liriche.
La sinestesia, in realtà, è anche la caratteristica peculiare dell’Opera stessa, ovvero quel “recitar cantando” che si è andato affermando alla fine del ‘500 in area fiorentina ad opera della Camerata de’ Bardi. Il teatro lirico si configura infatti come una vera e propria opera d’arte totale in cui vari elementi diversi si integrano per ottenere un risultato straordinariamente immersivo e sinestetico: la recitazione si unisce infatti alla poesia (il libretto dell’opera), alle arti figurative (le scenografie e gli allestimenti) e – naturalmente – alla musica.

L’allestimento della mostra di Mussa aggiunge anche un ulteriore stimolo sensoriale ovvero, appunto, l’olfatto.
Elemento solo apparentemente ondivago e balzano, il profumo aggiunge un quid in più a un allestimento già di per sé estremamente suggestivo: esso non ha infatti solo un valore accessorio ed estetico bensì aggiunge un carattere ancor più coinvolgente al percorso, amplificando il ruolo giocato dalla musica operistica che fa da sottofondo all’intera mostra. Così il visitatore si trova avvolto da musica e aromi che contribuiscono a trasportarlo, in una sorta di inebriante trance estetica, per tutta la durata del percorso.
Ciò non deve stupire: mentre oggi siamo ormai tendenzialmente abituati a intendere il profumo come un bene di largo consumo, un accessorio alla moda, per secoli esso è stato invece considerato un vero e proprio “bene di lusso”, dall’alto valore simbolico ed economico, nonché impiegato in circostanze liturgiche e rituali (ancora oggi, solo per fare un esempio a noi prossimo, durante le celebrazioni cristiane più solenni si è soliti spargere incensi profumati). Ma la potenza estetica del profumo non si limita solo a questo. Pensiamo anche al forte valore emotivo che possiamo attribuire a un certo stimolo olfattivo: ci sono odori che noi associamo a persone, luoghi, eventi e che riattivano nella nostra mente – come la celebre madeleine proustiana – ricordi e memorie del passato, ogni qualvolta ci capita di imbatterci in loro.
“Come i profumi, così anche la musica” potremmo dire riadattando il motto oraziano “Ut pictura poesis”, divenuto nei secoli il manifesto del Paragone delle Arti: a chi non è capitato di associare un certo brano musicale a un’estate trascorsa felicemente con gli amici, a una persona che ha fatto parte della nostra vita, a un momento particolare del nostro passato, e di vagheggiarli nostalgicamente ogni volta che ne risentiamo note? Suoni e profumi, insomma, possono racchiudere un pezzetto della nostra storia personale e sanno rievocare in noi emozioni e suggestioni.
La mostra dedicata a Mussa unisce questi due elementi, legandoli indissolubilmente alla sua serie di fotografie (da lei ritoccate a mano, in un secondo momento, con matite a pastello) dedicate al luogo dell’emozione per eccellenza: il teatro dell’Opera. L’esposizione è anche arricchita dalla presenza di altri oggetti legati alla storia teatrale milanese, tra cui alcuni libri a stampa provenienti dalla Civica Raccolta Bertarelli, una maquette lignea del Teatro Regio Ducale e un modellino (collocato nell’ultima sala, a conclusione del percorso espositivo) che riproduce il boccascena del Teatro alla Scala come si presentava nel 1778, anno di inaugurazione del teatro con l’allestimento de L’Europa Riconosciuta di Antonio Salieri.
Le fotografie sono collocate lungo il percorso e scandite da citazioni di autori teatrali come Giorgio Strehler, Eduardo De Filippo, Paolo Grassi, secondo quello che sembra essere un criterio cromatico (per contrasto o per analogia) e che pone le stampe fotografiche in un dialogo serrato con gli ambienti in cui esse sono inserite, ciascuno dei quali è contraddistinto da raffinate tappezzerie damascate di un differente colore o fantasia. Così, la sala dalle pareti color verde brillante ospita fotografie punteggiate dal rosso vivo delle poltrone e del sipario delle platee teatrali (è il caso, per esempio, delle fotografie del Teatro San Carlo di Napoli, del Teatro Argentina di Roma o del Teatro Massimo a Palermo nella sala 108). Un contrasto analogo si realizza poi nella sala 104, in cui alla cupa tappezzeria blu con fiori dorati, si contrappongono le candide ed eteree fotografie degli interni della Reggia di Venaria a Torino e di Palazzo Grimani a Venezia (entrambi impiegati anche come sede di spettacoli teatrali). Le ultime sale del percorso con la loro tappezzeria dalle tinte pastello, al contrario, sono occupate da fotografie caratterizzate da toni tenui, in una sorta di continuum tra le pareti e le stampe.

Così, non solo olfatto e udito vengono inebriati dagli stimoli sensoriali che avvolgono gli spettatori dal loro ingresso alla mostra fino all’ultima sala, ma anche la vista si trova immersa nel caleidoscopio di colori e pattern che caratterizza le pareti e le architetture teatrali immortalate.
È interessante poi notare come nelle fotografie di Mussa il teatro dell’opera, il luogo per eccellenza della mise-en-scène, diventi esso stesso il soggetto della messa in scena: in altre parole, quello che normalmente è il contenitore dell’arte diviene – in un curioso ribaltamento di ruoli – il suo contenuto.

Così il teatro sembra, per una volta, ammutolire.
I protagonisti sono i teatri che Mussa ha visitato, come in una sorta di pellegrinaggio laico, in tutta la nostra penisola. Alcuni splendenti con i loro enormi lampadari luccicanti e i loro tendaggi bordati d’oro, altri abbandonati o semi-demoliti ma capaci ancora di suggerire gli sfarzi di un tempo, risultano comunque tutti caratterizzati da un solo comun denominatore: il vuoto. In questi scatti, caratterizzati da atmosfere sospese e stranianti, la presenza umana è solo suggerita: è la presenza della fotografa che ha premuto il pulsante della sua macchina fotografica e ha poi ritoccato manualmente le stampe, dello staff che ci immaginiamo si trovi dietro le quinte a preparare il prossimo spettacolo e che ci aspettiamo popoli gli spazi del teatro quando il pubblico non c’è.
L’artista stessa sul suo sito web personale, in merito a questo progetto espositivo, dichiara: “nel caos della vita trovo una tormentata pace nella solitudine di luoghi, di paesaggi non frequentati. Le immagini che raccolgo sono i testimoni di quella sospensione, con esse esprimo il desiderio di una silenziosa nostalgia di prossimità”. Sono proprio il silenzio e la solitudine suggeriti dalle immagini delle platee vuote a farci ritrovare il desiderio di momenti lieti e sereni, assieme alle persone a noi care e al riparo dalla frenesia della vita quotidiana.

Si percepisce in esse anche qualcosa di quasi inquietante che ci rimanda per un momento a tempi recenti in cui il Covid ha davvero svuotato questi luoghi che noi siamo abituati a pensare come pieni di vita: da un lato, la vita delle persone che tra un atto e l’altro inondano foyer e palchetti, ridendo e conversando; dall’altro, quella che viene raccontata nelle opere allestite sul palcoscenico. È la vita dei personaggi che le popolano ma che è anche la nostra vita; ci riconosciamo in essa e sogniamo: magari solo per quelle poche ore dello spettacolo, per poi tornare alla nostra vita di tutti i giorni con i nostri problemi e le nostre vicende.
In fondo, anche le fotografie di Patrizia Mussa sono un po’ come le madeleine di Proust: basta guardarle per rievocare il ricordo delle risate degli spettatori a teatro, del rumore caotico dell’orchestra che accorda disordinatamente gli strumenti, del profumo polveroso dei tendaggi rossi, dell’oro e delle luci.
Teatralità. Architetture per la meraviglia
6 dicembre 2023 – 4 febbraio 2024
Palazzo Reale, Milano
Piazza Duomo 12, 20122