Sacer. Ła mostruosità del sacro, intervista all’artista Federica Rugnone

La prima personale di Federica Rugnone a Roma, a cura di Silvia Bellotti, è visitabile fino al 9 dicembre 2023 da Galleria Gallerati

Sacer. Ła mostruosità del sacro è la prima personale di Federica Rugnone a Roma, è visitabile fino al 9 dicembre 2023 da Galleria Gallerati. È curata da Silvia Bellotti de La Fondazione Bisonte di Firenze. Abbiamo intervistato l’artista per approfondire il concept alla radice delle sue opere, soprattutto delle Ierofanie in ceramica e dei Teriomorfi, ibridi ferini che indagano la contaminazione tra i diversi regni degli esseri viventi.

Perché sei interessata al tema del sacro?

Lo ritengo un bisogno fondamentale dell’uomo, è ciò che va al di là dell’umano, una tensione interiore verso l’altrove. Siamo nel regno dell’indifferenziato, quello che frequentano i poeti e i matti, dove le parole e le azioni acquistano contemporaneamente significati diversi e i limiti sono assenti.

Attraverso la ragione l’uomo ha iniziato a definire le cose che lo circondano, a distinguere e separare. Quello che mi interessa è vedere come in rapporto a questa dimensione sacra presente nell’uomo stesso, il concetto di confine sia qualcosa di molto labile e composito. La società in cui viviamo ci spinge ad analizzare la realtà in modo dicotomico secondo un principio di non contraddizione per cui una cosa è in un modo e non in un altro. Questo atteggiamento, se estremizzato, ci porta a una rigidità mentale che perde di vista la complessità del reale.

Come hanno avuto origine le Ierofanie in ceramica, riprendono la forma della coppa da libagione? Potresti spiegare meglio il collegamento con Mircea Eliade?

Le opere in ceramica riprendono la coppa da libagione e ne condividono lo spirito comunitario, un auspicio di una nuova alleanza tra gli esseri viventi.

Attraverso l’assemblaggio di parti di creature diverse mi sono ispirata all’idea di Ierofanie di Eliade, atti o oggetti che senza perdere le proprie connotazioni richiamano l’idea di sacro. La coppa diventa così un simbolo che rimanda a una realtà del tutto diversa rispetto a quella comunemente intesa come del “nostro mondo” e che ci mostra la nostra natura ibrida. Ritrovare il senso del sacro oggi significa tornare a una dimensione relazionale tra gli esseri viventi in cui al piano verticale della trascendenza si sostituisce la visione orizzontale dell’immanenza.

Perché stai indagando la ferinità?

È un tema come quello del mostro, del diverso, da sempre presente nelle fiabe e nella mitologia, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Alla base della cultura occidentale, anche dopo le teorie evoluzionistiche, è rimasta una rigida separazione tra il dominio della natura e quello dell’uomo che, attraverso la ragione, ha operato una scissione interna (mente-corpo) ed esterna a se stesso (umano – non umano). La natura è diventata così uno scarto informe, da cui doversi purificare. Indagare la ferinità ci permette di superare queste dicotomie, di problematizzare non solo la relazione con la parte più animalesca che è in noi ma anche di interrogarci sui rapporti che instauriamo con gli altri, chiunque questi siano.

Com’è nata la serie dei Teriomorfi e cosa rappresentano per la tua ricerca?

La prima serie è nata durante la residenza d’artista presso la Fondazione il Bisonte la cui restituzione è avvenuta con la mostra curata da Silvia Bellotti La comune discendenza. Le opere scelte indagano i rapporti tra i regni degli esseri viventi. Per la serie dei Teriomorfi (“thēr, thērós” bestia feroce e “morphē” forma) mi sono ispirata alle incisioni rupestri come lo Stregone danzante di Ariége in cui si possono ritrovare insieme tratti umani e sembianze più animalesche.

In quei disegni, a mio avviso, l’uomo sembra ancora accettare e riconoscere una radice animalesca con cui poter instaurare un dialogo. Nelle mie opere, attraverso il collage, ho accostato parti provenienti dal regno non solo animale ma anche fungino. Ne sono nate delle figure mostruose mai esistite o che sarebbero potute esistere se l’evoluzione avesse preso altre vie ma che ci pongono, comunque, degli interrogativi su quanto di quello che vediamo ci appartiene o meno. Chi o cosa definiamo mostruoso, quanto condivide con noi e perché il pensiero di non potersi dire completamente estranei a questi esseri ci turba? Problematizzare i rapporti con le altre specie, ricordarsi da dove veniamo e cosa ci anima dentro è sicuramente un modo per riappropriarci di un aspetto che socialmente rileghiamo al “diverso”, al non umano.

In questo momento la tecnica della cianotipia è molto usata ma tu la sperimenti da anni. Come pensi le tue cianotipie si differenzino rispetto alle proposte di altri artisti (a parte per i soggetti)?

Penso che questa tecnica sia tornata alla ribalta della scena artistica in parte anche per la sua versatilità e rapidità di esecuzione. Solitamente, viene usata per catturare tracce di oggetti o per stampare fotografie vere e proprie. Io creo dei collage, metto insieme digitalmente parti appartenenti ai vari regni dei viventi per ottenere un negativo completamente nuovo, che ritrae un soggetto nato da un assemblaggio: non un fotogramma o quello che resta dell’oggetto posto sulla carta emulsionata bensì qualcosa di completamente altro.

Come coniughi i tuoi studi filosofici con il mondo della fotografia e dell’incisione e come sei arrivata dalla filosofia ad approfondire la tua creatività artistica?

Sono sempre stata una persona curiosa, piena di domande e, una volta uscita dal liceo scientifico, la facoltà di Filosofia è stata un approdo quasi naturale.

Credo che la fase dei perché per me si sia prorogata fino alla vita adulta: in fondo, la filosofia che cos’è se non l’espressione verbale e strutturata di domande che ci poniamo fin da piccoli? Così mentre gli interrogativi crescendo sono diventati più corposi, l’arte mi ha soccorso non tanto nel trovare risposte ma nel suo essere un “gioco serio”, capace di aprire scenari e dare se non altro forma ai pensieri.

Mi puoi raccontare la tua esperienza da Il Bisonte e com’è nata la sinergia con la curatrice Silvia Bellotti?

La Fondazione Il Bisonte di Firenze è un posto unico per l’aria che si respira, tra grandi opere d’arte e nuovi artisti internazionali che passano per la galleria e la scuola di arti grafiche. Ho avuto modo di frequentare un anno il corso di incisione grazie alla borsa di studio della Fondazione Livorno. Successivamente, ho potuto lavorare alla mia ricerca come artista in residenza seguita dalla curatrice Silvia Bellotti con la quale avevo già avuto occasione di collaborare per altri progetti. Da subito, con Silvia c’è stata un’ottima intesa, dovuta anche a interessi in comune, a partire dalle letture di opere sul “postumano”. È un buon sodalizio, fatto di scambi e ascolto reciproco. 

Federica Rugnone
Sacer
La mostruosità del sacro
8 novembre – 9 dicembre 2023
Galleria Gallerati (Via Apuania, 55 – Roma)
A cura di Silvia Bellotti

Informazioni: [email protected], www.galleriagallerati.it

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