Nessun chiodo sui pixel nel metaverso, intervista con Ilaria Bonacossa

Dal numero 127 di Inside Art magazine una riflessione sulla linea tra due mondi, il reale e il virtuale, e sul futuro dei mestieri dell'arte

È forse presto per parlare di arte nel metaverso: la storia vuole il suo tempo e a noi serve tempo per fondare e articolare un parere. Però, ecco: l’arte nel metaverso già c’è; Christie’s e Sotheby’s, solo per citare i casi più noti, hanno entrambe uno spazio nell’altro mondo, quello digitale. Quindi, pure se a caldo, è forse il caso di cominciare a porci delle domande e azzardare delle risposte anche solo per non ritrovarci sorpresi quando e se diventeremo obesi dentro una stanza vuota e grigia a guidare avatar stupendi in mondi bellissimi. È Ilaria Bonacossa, in passato direttrice di Artissima e oggi alla guida del futuro museo dell’arte digitale MAD che, fra punti fermi e impossibili previsioni, prova a spostare timori su altri fronti e tranquillizzarci su altri.


Refik Anadol Studio and Zaha Hadid Architects, Architecting the Metaverse
courtesy Refik Anadol Studio, photo Kyungsub Shin

Il metaverso potrebbe affermarsi come una realtà parallela al reale mondo dell’arte, costruire cioè altre dinamiche che possano fare a meno per esempio di professioni come critici e curatori?
Il metaverso è al momento in una fase primordiale, diciamo ancora poco evoluta, come internet negli anni ’90, quando i siti erano strutturati come pagine di libri con menu. Il suo sviluppo e le scommesse sul suo futuro sono legate più agli investimenti che al vero e proprio uso che ne fanno gli artisti. Non intendo dire che non vedremo l’arte svilupparsi nel mondo digitale ma la vera rivoluzione sarà phygital in cui spazio reale e spazio digitale si incontreranno in un’esperienza ibrida. L’arte digitale si articola attraverso una forma di disintermediazione, per lo meno dai player tradizionali dell’arte citati, ma dall’altro questo pone un problema perché rischia di vedere il valore economico di un’opera essere il criterio validante invece del valore simbolico e questo sappiamo che spesso non funziona, Van Gogh morto in indigenza ne è un esempio.

Prendiamo il caso di Beeple con gli NFT: un incredibile scambio di denaro senza nessuna intermediazione da parte del sistema dell’arte.
Il mondo dell’arte e della finanza globale si sono accorti degli NFT in campo artistico a metà marzo 2021, in seguito alla vendita stratosferica dell’opera Everydays, the first 5000 days del designer americano Beeple alias Mark Winkelman dalla casa d’aste Christie’s per ben 69 milioni di dollari, beh anzi (questo è un dettaglio importante) l’equivalente di 69 milioni di dollari in Ethereum, una delle criptovalute più scambiate. Un’opera d’arte digitale è stata acquistata per una somma stratosferica portando questa nuova tecnologia ad essere presa sul serio. Quest’opera composta da 5000 immagini postate da Beeple sui social e montate in un gigantesco collage erano state montate in un NFT caricato sulla blockchain. Dall’altra però in questo momento, forse anche in risposta al caro energia e alla guerra, le quotazioni NFT sono crollate portando investitori a investire in opere pittoriche tradizionali. Io non credo che l’idea di un’umanità obesa che vive l’arte e il cibo e il sesso virtualmente tramite oculus (o la sua versione futura) seduta sul divano sia una realtà auspicabile, se così fosse forse non ci sarebbe più bisogno dell’arte.

Refik Anadol, Machine Hallucinations: Mars, 2021, courtesy R efik Anadol Studio


Sotheby’s recentemente è entrata nel metaverso. Se il mercato digitale diventerà, come in parte già è, la normalità, che sorte toccherà al mercato offline, per esempio alle fiere?
Sì, Christie’s e Sotheby’s hanno spazi nel metaverso e nuovi player come Aorist stanno offrendo esperienze affascinanti in quello spazio così come le mostre immersive di MEET digital center a Milano. Il mondo dell’arte tradizionale sta esplorando questa realtà digitale e alcune gallerie come PACE o Koening lo stanno facendo con artisti fantastici e grandi risultati, la questione del digitale è centrale per il futuro delle fiere e in questo credo che Art Basel o Fiac o Artissima con il progetto Beyond production in collaborazione con Fondazione Crt per l’arte sia all’avanguardia, guardando nel 2022 gli NFT e quest’anno la scommessa di come un’opera possa vivere nello spazio fisico e in quello virtual

Come verrà fruita l’arte nel metaverso? Non sembra assurdo per esempio comprarsi un quadro digitale per appenderlo sui muri digitali, seguendo cioè una pratica che va avanti da secoli?
Per i nativi digitali condividere un’opera sarà più naturale che forse comprarla e metterla sul muro, e chi viene dal mondo del gaming trova naturale spendere per avere un’esperienza digitale più articolata. Quello che spero cambi è l’idea dello spazio e dell’esperienza dell’arte: perché avere finte case o gallerie d’arte con muri ortogonali e realistici quando nel metaverso le opere potranno roteare intorno a noi ed essere immersive e inimmaginabili?

Refik Anadol, Machine Hallucinations — Space: Metaverse, 2021, courtesy Refik Anadol Studio


L’arte legata a internet e al digitale ha già una sua storia che parte dagli anni Novanta. In questo campo quali sono un paio di artisti contemporanei che aggiornano il filone?
L’arte digitale in realtà nasce già alla fine degli anni ’60 e ci sono festival come ARS Electronica a Linz o Musei come ZKM a Karlsruhe ne hanno scritto la storia. Gli artisti sono tanti penso a Jon Rafman oppure Trevor Paglen o Lynn Hershman Leeson. Come italiani sicuramente Eva e Franco Mattes hanno scritto la storia dell’internet art. Nella mostra che ho curato come MAD in collaborazione con MAXXI, Digital Antibodies, ho presentato il lavoro di tre artisti italiani che nella loro produzione indagano le criticità delle trasformazioni sociali del nostro mondo digitale. Danilo Correale, Irene Fenara e Invernomuto con
diversi mezzi espressivi ci spingono a guardare e usare la tecnologia in maniera nuova e irriverente.

 È stata nominata direttrice del MAD. Ha già pensato ai criteri temporali per la collezione? Il museo avrà un suo spazio nel metaverso? Una struttura con questi scopi non rischia la spettacolarizzazione dell’arte?
Il museo nasce per un luogo fisico specifico l’albergo diurno di Piero Portaluppi del 1925, e avrà una collezione per raccontare l’evoluzione e le tendenze dell’arte digitale, l’idea è di comprare opere guardando al presente e al futuro scommettendo su artisti emergenti e attivi più che cercare di comprare la storia, cosa difficile e spesso molto cara. Credo che la peculiarità di un museo che presenta le innovazioni dell’arte in uno spazio storico sia una carta vincente che porterà gli artisti a voler ingaggiare lo spazio con produzioni site specific. Sulla spettacolarizzazione se è di qualità non ne vedo gli aspetti negativi, Refik Anadol incanta le folle con le sue opere create con AI, e le installazioni audio video di Ryoji Ikeda sono per me una delle cose più spettacolari e affascinanti che abbia visto. Come nota a piè di pagina, la mostra alla Gamec di Bergamo Salto nel vuoto. Arte al di là della materia è davvero interessante per scoprire alcuni filoni dell’arte digitale contemporanea.

Refik Anadol, Artificial Realities: Coral, courtesy Refik Anadol Studio

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