Settimana della Moda, a Parigi siamo già catapultati nella Primavera/Estate 2023. Nella Salle des Textiles del Musée des Arts et Métiers, sfilano le modelle per lo show del brand Coperni. L’intera collezione, pensata per valorizzare le silhouette femminili, tenendo conto delle innovazioni scientifiche sui materiali, riflette sull’evoluzione della sartoria femminile nella storia, ma il momento clou è stato l’ingresso della modella americana Bella Hadid.
Arrivata a conclusione della sfilata, la top model si è presentata in passerella nuda con gli slip, raggiungendo il centro della scena insieme ai designer che le hanno spruzzato addosso una speciale vernice, immediatamente gelificata al contatto con il corpo, creando un perfetto abito da cocktail con spalline. Forbici per rifinire, creare spacco e scollatura, e l’abito è terminato.

Per creare la performance tra moda e tecnologia, i due designer di Coperni, Arnaud Vaillant e Sébastien Meyer, hanno collaborato con Manel Torres, inventore del tessuto spray-on. «Si può ricreare un abito infinite volte», ha spiegato Meyer a WWD. Le fibre sono «sospese in una soluzione polimerica che evapora a contatto con il corpo. Dopo averle indossate, possono essere rimosse e trasformate nuovamente in soluzione, pronte per essere riutilizzate», raccontano i due designer. «È nostro dovere di stilisti provare cose nuove e mostrare un futuro possibile. Non faremo soldi con questo, ma è un momento bellissimo, un’esperienza che crea emozioni». Creato per agevolare l’industria della moda e poi perfezionato fino ad adattarsi al corpo come una seconda pelle, il Fabrican, simile al jersey, ha applicazioni potenzialmente infinite, aprendo porte a nuovi prodotti e processi di produzione, portando la sperimentazione del fashion system verso un futuro più sostenibile.
Tuttavia, non sono mancate le critiche attorno alla performance, tra chi non ha apprezzato la mancanza della citazione esplicita a McQueen e chi l’ha definita fashion gimmick, cioè un espediente il cui unico fine era catalizzare su di sé l’attenzione.
La critica fa riferimento al memorabile finale della sfilata N.13, frutto del genio dello stilista Alexander McQueen (1969 – 2010), che rappresenta uno degli esempi più celebri di connubio tra moda e tecnologia.

È infatti il 1999, quando in passerella non c’è Bella Hadid, ma Shalom Harlow: la modella è in piedi su una piattaforma di legno girevole, come in un carillon, vestita con un semplice abito di mussola bianca a più strati che crea un volume a corolla, mentre ai lati troviamo due braccia robotiche della Fiat, utilizzate per la verniciatura delle auto. Vernici e schizzi di colore giallo e nero colpiscono il bianco candido dell’abito della modella, la quale cerca di difendersi in un commovente ballet mécanique. Dopo essere stata bersaglio dei getti spruzzati dai due robot non solo sul vestito da lei indossato, ma anche sul corpo, esce di scena esausta, quasi plasmata dalla forza al tempo stesso creatrice e distruttiva dei bracci meccanici.
Ispirato dalle macchine automatiche dell’artista tedesca Rebecca Horn, McQueen ha portato in scena, in quell’inizio degli anni Duemila, una delle sfilate più commoventi della sua brillante e troppo breve carriera.

Oltre a Coperni, tra gli show più attesi, anche Balenciaga di Demna Gvasalia. Ad aprire lo show, sullo sfondo fangoso di uno scenario apocalittico, è stato Kanye West. Se nelle scorse stagioni Demna aveva raccontato il suo passato da rifugiato, denunciando l’orrore della guerra, questa volta ha fatto aprire lo show a West, in arte Ye, l’artista eclettico che per primo ha sfilato come un eroe tragico. Giacca oversize con decine di tasche e la scritta Security, pantaloni di pelle, maxi guanti e capo coperto con cappuccio e cappello.
Il designer ha trasformato da due stagioni Balenciaga in una piattaforma di risonanza politica: nell’antitesi tra privilegio e disperazione, va in scena la constatazione dell’impossibilità di fermare l’orrore, di reagire. Il fango, nel quale sono immerse le scarpe dei modelli, lascia un ricordo disturbante che riporta gli occhi sul terreno della sconfitta. Il fango contamina tutto, alla fine restano solo i corpi e i visi dei modelli.
