Exodus 2020, la mostra di Ultra e Scomodo che getta uno sguardo sulla città contemporanea

L'intervista a Ultra, laboratorio di ricerca architettonica e urbana sulla città contemporanea e Scomodo, rivista studentesca, insieme per una mostra a Roma

Siamo agli ultimi giorni della mostra Exodus 2020, frutto della collaborazione di Ultra, laboratorio di ricerca architettonica e urbana sulla città contemporanea (fondato da sei architetti durante l’elaborazione del progetto), e Scomodo, prima rivista studentesca per tiratura in Italia nonché grande realtà sociale e culturale under 30 del Paese. Si tratta di un’esposizione dal carattere fresco, generazionale, figlia della pandemia e del desiderio di rinascita che ha portato con sé. L’osservazione della città deserta durante i mesi di lockdown, la necessità di contatti umani e di creare comunità hanno fortemente stimolato la formazione del progetto. È una mostra che mette al centro la percezione della città contemporanea da parte dell’esperto (l’architetto) ma anche del semplice cittadino, uno sguardo tecnico ma allo stesso tempo empatico, e che ha preso vita attraverso un vero e proprio lavoro corale (21 ragazzi tra architetti, coinvolti tramite una call nelle università La Sapienza e Roma Tre, e narratori, provenienti dalla redazione di Scomodo). Un doppio binario, soggettivo, sensibile da un lato, e più tecnico e razionale dall’altro, riprodotto attraverso l’utilizzo di due media che si intrecciano: quello fotografico e quello narrativo. Dal manifesto elaborato dai ragazzi di Ultra, fulcro della mostra, sono derivate otto tematiche sulla città contemporanea. Architetti-fotografi e narratori le hanno sviluppate attraverso un lungo processo dialettico, con l’obiettivo di raggiungere uno sguardo il più possibile condiviso e vicino alla verità, in senso quasi socratico. Da questo lungo periodo di gestazione è scaturito un processo più grande del progetto stesso: gli autori hanno toccato alcune corde profonde della città di Roma e delle nuove generazioni. La mostra invita ad un “esodo prospettico”, un uscire da sé e dagli spazi vissuti nel quotidiano, per entrarci di nuovo con un occhio più affettivo, lucido e critico. Un riappropriarsi degli spazi architettonici da parte del singolo che li attraversa, al fine di non subirli in una sostanziale indifferenza, bensì di trasformarli in luoghi di partecipazione attiva e di riscatto umano e sociale. L’auspicio che il manifesto propone alle nuove generazioni consiste in un atto di coraggio: affrontare la mostruosa complessità della città contemporanea senza farsi intimorire, bloccati dalla stessa paralisi che sperimenta Novecento nel romanzo di Baricco (citato nel manifesto). Frontiera, frattura, interferenza, bigness, vuoto, non-luogo, spazio eterotopico, schermo (le otto tematiche della mostra): sono solo alcune delle realtà tipiche della metropoli contemporanea, luoghi di inquietudine se si rimane prigionieri dei propri pregiudizi, presente da cui partire per immaginare la città del futuro se accompagnati da spirito civico e creativo.  
Ne parliamo con i protagonisti di Exodus 2020, intervistiamo Luca Giordani di Scomodo, Maria Laura Morgantini e Fabrizio Felici di Ultra.

Com’è nato il progetto e la collaborazione tra Ultra e Scomodo?

Scomodo: E’ nato in un modo del tutto occasionale, siamo entrati in contatto con gli architetti futuri fondatori di Ultra attraverso un loro amico architetto che si è occupato di una ristrutturazione all’interno della redazione di Scomodo. Inizialmente abbiamo coinvolto i ragazzi di Ultra per riproporre una mostra fotografica già realizzata in precedenza. In seguito abbiamo deciso di dar vita ad una mostra completamente nuova, ed è iniziata la collaborazione.

Ultra: Ai primordi della mostra c’è il manifesto, che ha l’intento di porsi come base della stessa. Abbiamo cercato qualcosa che avesse un carattere dal punto di vista architettonico ma potesse avere un’interpretazione anche da un punto di vista soggettivo. Come spiega il manifesto c’è una volontà di stimolare nel visitatore una visione della città. Abbiamo aggiunto al manifesto delle indicazioni sulla città, delle chiavi di lettura: le otto tematiche in cui si suddivide la mostra. 

Quanto ha inciso il periodo di stallo della pandemia nel desiderio di rinascita che questa mostra esprime?

Ultra: Dal nostro punto di vista ha inciso parecchio. É stato uno stimolo vedere la città vuota, deserta, isolata. Gli ideatori del manifesto si sono visti mentre c’erano le restrizioni, mentre c’era il coprifuoco, e rimanevano lì chiusi a discutere e a parlare. Ma nel frattempo ci spostavamo, perché andavamo tutti quanti al lavoro, passavamo in una città deserta, che non era più percepita allo stesso modo di prima, scoprivamo ogni volta un posto nuovo. Dal punto di vista pratico poi è intercorso tanto tempo dal momento in cui ci siamo seduti a parlare di come e quando fare la mostra a quando effettivamente siamo riusciti a realizzarla. Il processo di ideazione ha avuto modo di maturare ancora di più. Ultra in quanto associazione si è costituita a posteriori rispetta all’effettiva nascita del progetto e del manifesto stesso. E aggiungo questo dettaglio per sottolineare la nostra volontà di condividere, di riflettere insieme che ci ha portati a costituirci come associazione culturale.

Il modello di Scomodo, di questa realtà di rete e comunità, vi ha influenzato nella scelta di creare un’associazione?

Ultra: Ci ha influenzato e stimolato sicuramente. Inoltre il lavoro di gruppo di Exodus ci ha sollecitato a costituirci come associazione in un tempo breve. Ci siamo riuniti ed incontrati ad ottobre del 2020, in piena seconda fase pandemica: anche questo ha influito molto, c’era una grande volontà di condividere idee e di unirsi. Inizialmente ci siamo riuniti senza una direzione molto chiara, la quale ha preso forma in corso d’opera. Sicuramente la collaborazione con Scomodo ha aiutato. Inizialmente abbiamo pensato di fare uno studio associato, essendo degli architetti. L’intento era comunque quello di andarsi ad unire, e in questo la pandemia c’entra molto, a prescindere da Exodus e Scomodo. L’intento primordiale era quello di unirci noi sei. Qui però stiamo entrando nello specifico di che cos’è Ultra.

Che cos’è Ultra?

Ultra: Il gruppo originario era composto da sei architetti che ufficialmente si sono associati durante Exodus, ma che si incontravano già prima della fase di lavoro. L’intento era quello di trovarci insieme ognuno con la propria attività alle spalle e di portare all’interno di Ultra quella che è una ricerca sulla città contemporanea, interesse a noi comune. Perché da soli molto spesso non riusciamo a fare quello che vorremmo fare. Lavorando (magari in settori non proprio inerenti a quello che abbiamo studiato) difficilmente si ha la possibilità di portare avanti parallelamente quelli che sono i propri interessi personali. La necessità di associarsi nasce da questo, dal bisogno di dare sfogo al nostro interesse per l’architettura nella città contemporanea, di incontrarci, di discutere, di fare quella che poi abbiamo definito la ricerca dell’associazione culturale. Formalmente siamo un’associazione culturale, ma in realtà ci definiamo un laboratorio di ricerca di architetti, designer, e da poco anche social media manager.

Qual è il focus della ricerca di Ultra?

Ultra: Ci stiamo ancora interrogando molto. Ad oggi ci definiamo laboratorio di ricerca architettonica urbana della città contemporanea, perché questo è il campo nel quale vogliamo effettivamente intervenire. Vorremmo essere anche una sorta di ponte, vorremmo sollecitare un dibattito tra i cittadini. Possiamo dire che Ultra è un laboratorio trasversale, il nostro obiettivo è quello di creare un dibattito sull’architettura, sull’urbanistica, incentrato sulla città, per il momento.  L’intento principale è quello di riaccendere un dibattito su temi di architettura e urbanistica, che sono il nostro settore di competenza. La parte comunicativa è fondamentale in questo senso. Proprio perché il nostro intento è quello di accendere o riaccendere un dibattito che parte da una riflessione, è chiaro che l’approccio non può essere strettamente tecnico, e qui la figura del progettista si allarga in qualche modo, in quanto mette a punto effettivamente un’esperienza olistica. Vorremmo essere ponte: andare a studiare, interrogare quello che è un sentimento, quella che è la parte più emotiva e personale di chi effettivamente la città la vive, quindi allargare la percezione della città. Per questo cerchiamo di comunicare un senso di appropriazione della città.

Com’è nata l’idea di aggiungere una parte narrativa?

Utra: Credo sia nato dalla fatica di capire in effetti di cosa stessimo parlando, e di comunicarlo tra di noi e agli altri. Così ci è venuta l’idea di affidarci a chi questo lavoro lo fa per passione o per mestiere. 

Gli ultimi numeri di Scomodo sono dedicati alla narrativa. Come mai questo nuovo interesse?

Scomodo: La narrativa in Scomodo c’è da più di un anno e mezzo, e da ottobre i mensili sono interamente dedicati a questo genere. Perché Scomodo è in pausa, in ristrutturazione. Arrivati al sesto anno di progetto, ci stiamo interrogando sulle capacità di impatto sul pubblico e sulle dinamiche di gestione, banalmente sono anche cresciute le persone che compongono il progetto. Le nostre energie ora sono concentrate su questo lavoro di ristrutturazione interna alla rivista, ci sono venuti in aiuto i ragazzi del settore “narrativa” che esistono da tempo, e soprattutto quest’estate hanno iniziato a produrre con regolarità contenuti interessanti. Ci siamo resi conto che il gruppo di narrativa era in grado di rispondere a un’esigenza di Scomodo, far uscire mese dopo mese un prodotto qualitativamente valido. Gli abbiamo affidato l’incarico di farsi cinque domande, cinque domande apparentemente banali, affrontate in chiave generazionale, perché i narratori sono tutti giovani. I racconti non rispondono ma fanno vedere quelle domande da più prospettive.

Quali sono i futuri progetti di Ultra? Pensate di collaborare ancora con Scomodo? Avete altri progetti in mente?

Ultra: Per ora il Vicepresedente dell’ordine degli architetti di Roma ci ha invitato a esporre Exodus 2020 alla Casa dell’Architettura. Ci sono delle cose a cui stiamo lavorando, ce ne sono altre ancora nell’incubatrice. Ovviamente Exodus è un progetto, noi andiamo avanti. C’è interesse diffuso, mi sembra, nei confronti di questo lavoro e di questa collaborazione. Vuol dire che funziona, che qualche messaggio lo sta mandando. Per adesso abbiamo dato tanto.

Questa mostra è dunque parte di un progetto più grande?

Ultra: Per quanto riguarda noi, sì.  Non sarà con gli stessi termini, canoni o output, ma intendiamo continuare a ragionare sulla città contemporanea e sulla sua concezione.

Scomodo: I temi intorno ai quali è nata questa sinergia sono pienamente condivisi. Ed Exodus propone un modello replicabile. Potremmo fare Exodus 2023 a Venezia? Che senso avrebbe? Che cosa racconterebbe? Questa mostra ha una risposta, suscita interesse e sollecita una serie di progetti collaterali. Certamente il catalogo è uno strumento di cui questa mostra avrebbe molto bisogno e va nella direzione di quello che fa Scomodo, cioè pubblicare. Il progetto ha un impatto forte sulla sensibilità delle persone della città di Roma, capire se sia riproducibile in altri contesti è un obiettivo importante.

Scomodo attraverso questa mostra sembra entrare nel mondo dell’arte. É una delle vostre finalità?

Scomodo: Scomodo per sua stessa natura, essendo un ricettore di istinti e di sensibilità, ha ovviamente generato moltissimi progetti artistici più o meno fortunati, più o meno felici. Ma non è uno degli scopi di Scomodo collocarsi nell’ambiente artistico, riconosciamo però sicuramente l’arte come un medium molto potente e uno strumento utile ai nostri fini. Quindi ovviamente ci interessa lavorare con l’arte, questo progetto è sicuramente qualcosa di importantissimo per capire quanto si può lavorare nel campo dell’arte con i metodi di Scomodo, e quanto l’arte può dare ai metodi di Scomodo. Questo era lo scambio che volevamo scoprire e su cui ci siamo messi alla prova. Scomodo procede per tentativi, se tutto questo porta a qualcosa, lo continuiamo. Nel campo delle arti Scomodo ha già due progetti musicali e un progetto di narrativa. Se parliamo di arti visive, durante le “notti scomode” abbiamo organizzato mostre d’arte e il live painting, rispondendo come sempre all’esigenza di espressione e volontà di condivisione delle nuove generazioni.

Questo spazio di Campo de’ Fiori si è dimostrato capace di accogliere una mostra, di esporla molto bene. Non so se pensate che possa essere di nuovo la cornice di altri eventi di questo genere.

Scomodo: Questo è uno spazio datoci in concessione da quasi un anno, affinché divenga un luogo di rigenerazione culturale in opposizione alla progressiva turistificazione del centro storico. É uno spazio che deve lavorare tanto sulla città, ripensarla in sinergia con le università, ma che poi deve restituire. Quindi questo spazio darà molti output, potrebbero essere dei talk, mostre o altro ancora. Sicuramente Scomodo non ha un medium preferito, non ha un modello espositivo precostituito, anche perché ci piace essere multimediali, intersezionali. E quindi in qualche modo questo spazio produrrà output per il centro e la città di Roma.

Exodus 2020. Scomodo e Ultra.
Fino al 10 giugno 2022.
Scomodo, Piazza San Salvatore in Campo, 34, Roma.

photo Karin Maltempo