Mark Rothko

Roma

«Un mistero forse impossibile da risolvere. Ma, allo stesso tempo, talmente affascinante che vale comunque la pena esplorare». Con queste parole Francesco Matteuzzi, giornalista e sceneggiatore, traccia l’identikit di una delle figure più rappresentative della storia dell’arte del ventesimo secolo: Mark Rothko. Ed è proprio a lui, tra i maggiori pittori moderni, che Matteuzzi e Giovanni Scarduelli – illustratore, fumettista e graphic designer – hanno dedicato l’omonimo volume a fumetti edito da Centauria. Mark Rothko, il miracolo della pittura (128 pagine a colori, 19.90 euro) ripercorre l’intera biografia dell’artista (all’anagrafe Markus Rothkowitz) nato a Daugavpils, in Lettonia, nel 1903 da una famiglia di ebrei praticanti ed emigrato con i genitori, all’età di dieci anni, negli Stati Uniti (”lo sai? Tu e i tuoi compagni siete finiti un locale in cui gli ebrei non sono i benvenuti. Perché sei ebreo, vero?”, si sente accusare). E questa graphic biography prende il la proprio dall’infanzia del pittore scomparso in modo tragico a New York nel 1970, passando dalle mostre di dipinti surrealisti per poi approdare ai ”classics” – la fusione tra l’opera e spazio e la rappresentazione, mediante il colore, dell’autentica emotività e rivelazione – che gli assicureranno il successo e il meritato tributo artistico. Momenti topici, questi, nei quali gli autori – con delicata poetica (un aspetto, questo, totalmente assente nella vita reale del pittore) – ritraggono Rothko in dialogo col se stesso bimbo, in modo tale da mostrare la netta scissione, nonché il senso di totale estraneità, che lo ha attraversato durante tutta la sua esistenza. Per svelarlo, al pari di un telo che copre un’opera prima di un vernissage, nella sua interezza di uomo, fatto di carne, riflessioni, sangue. Nel volume Mark Rothko, il miracolo della pittura Matteuzzi (testi) e Scardelli (illustrazioni) ritraggono l’artista – classificato come espressionista astratto, ma lui stesso nell’opera precisa: ”la mia non è pittura astratta. Non mi interessano i rapporti tra forme e colori, non sono questi i miei strumenti” – all’interno di una cornice assai introspettiva. Parte del titolo del volume rimanda, appunto, ad eventi straordinari che solo l’essenza vera dell’arte può veicolare. Lo stesso Rothko – che oltre alle sue tele, ci ha lasciato in eredità differente materiale scritto, studi e lettere – affermava: «Lo strumento più importante che l’artista impiega grazie a una pratica costante è la fede nella sua capacità di produrre miracoli quando ve n’è il bisogno. I quadri devono essere miracolosi: non appena uno è terminato, l’intimità tra la creazione e il creatore è finita. Questi diventa uno spettatore. Il quadro deve essere per lui, come per chiunque altro ne farà esperienza più tardi, una rivelazione». E quanta rivelazione c’è nell’artista posto sotto la lente d’ingrandimento da Matteuzzi e Scarduelli; un uomo complesso e affascinante, Rothko, poco compreso in vita e posto su un piedistallo dopo la morte, capace di apprendere l’inglese con grande facilità (”da oggi avete un nuovo compagno, ragazzi. È appena arrivato in America e conosce solo poche parole di inglese, ma non vede l’ora di diventare uno di noi”, lo presenta la maestra), riuscendo – addirittura – ad ottenere una borsa di studio all’università di Yale. Nel 1923 il trasferimento a New York, dove sbocciò il suo amore per la pittura (”dipingo come se al mondo non ci fosse altro. Si ferma il tempo, e io dipingo. La realtà scompare, e io dipingo. Dipingo, come se fosse l’unica cosa dotata di un senso, l’unica cosa che mi tiene in vita”, si legge nella biografia a fumetti). Artista fragile e complesso, dal carattere impenetrabile, Rothko è stato grande, soprattutto, «nell’aver trovato la via per restituirci la nostra umanità, il nostro dramma di esseri viventi e il nostro spirito», conclude Scarduelli.

Info: www.centauria.it