Deep Blue, Alice Faloretti

Roma

Alice Faloretti è l’artista che insieme a Lorenzo Pace parteciperà al progetto di residenza di Lefranc Bourgeois a Fondamenta gallery, dal 21 settembre al 5 ottobre. Di lei ha convinto la tecnica, lo studio del paesaggio e il rapporto con il colore. Una pittura molto contemporanea, la sua, che tuttavia parla anche di passato. L’abbiamo voluta conoscere più a fondo, capire la sua poetica e farci raccontare il suo percorso.

Molto giovane ma con un’identità pittorica molto definita. Come nasce la tua ricerca? 
«Nasce dalla dedizione costante, dal lavoro quotidiano, da una totale immersione all’interno della pittura. Grazie a questo continuo sperimentare, ho potuto sviluppare un linguaggio il più possibile vicino al mio sentire, attraverso una grammatica che prende forza dall’espressività del colore. L’interesse verso il soggetto-paesaggio, è inizialmente emerso in modo spontaneo, per poi gradualmente diventare la mia principale materia di indagine. I mondi che rappresento, sono caratterizzati da uno stretto legame col mio vissuto personale, provengono da memorie stratificate, su cui ripercorro il continuo interscambio, tra dimensione antropica e ambiente naturale. Il mio intento è quello di suggerire questa interazione, attraverso la trasfigurazione del dato reale in una visione intrinsecamente mentale, ottenuta dall’intreccio di luoghi, esperienze e ricordi». 

Come si è articolato il tuo percorso artistico fino a questo momento? 
«Ho sempre avuto una forte attrazione verso la pittura e il disegno, fin da piccola, quindi da subito ho scelto di intraprendere un percorso che mi consentisse di approfondire questo forte interesse. Prima il Liceo Artistico, poi il triennio all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia a Brescia e il successivo trasferimento a Venezia, dove ho conseguito la Laurea magistrale in Arti Visive all’Accademia di Belle Arti. Sempre durante questi ultimi anni, ho trascorso un periodo di studi all’AVU Fine Arts Academy di Praga, dove sono entrata in contatto con punti di vista differenti da quelli a cui ero abituata e che hanno successivamente influito sull’evoluzione del mio lavoro. Una volta conclusi gli studi nel 2018, ho potuto portare avanti la mia ricerca in uno studio a Venezia, spazio in cui lavoro tuttora. Nello stesso anno, ho iniziato ad esporre in collettive e personali, ho partecipato alla residenza Progetto Borca di Dolomiti Contemporanee e a diversi concorsi. Nel 2019 ho inaugurato la personale Suspension of Disbilief, sancendo la mia nuova collaborazione con la Galleria Francesca Antonini Arte Contemporanea di Roma, con cui poi ho cominciato a conoscere il mondo delle fiere».

Raccontaci il progetto che hai presentato per la Call Lefranc Bourgeois e come si lega al Deep Blue
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Il colore è indubbiamente l’elemento centrale del mio lavoro, quindi mi sono sentita perfettamente in linea con il tema presentato nel bando. Il mio progetto sarà totalmente pittorico, su tela e carta. Realizzerò una tela di grande formato, su cui andrò a giustapporre diverse immagini raccolte, prima e durante la residenza, con l’intenzione di creare una sorta di veduta paesaggistica notturna. Mi interessa la rappresentazione di un paesaggio fluido, un nucleo trasformativo in cui possano emergere diversi piani di realtà, concreti ed immaginari. Il colore blu costituirà il legante essenziale del tutto, avvolgerà l’intera rappresentazione, talvolta virando verso altre cromie, come se qualcosa emergesse dalla superficie, per poi riaffondare nella materia notturna. Il risultato sarà quindi uno scenario naturale, sospeso tra il familiare e lo sconosciuto, permeato da un’atmosfera ambigua e brulicante. Per quanto riguarda la serie di carte che vorrei realizzare in contemporanea, mi concentrerò invece su alcuni frammenti e su visioni più ravvicinate di scorci naturali, che richiameranno visivamente il dipinto su tela».

Qual è il tuo rapporto con la pittura e con la materia pittorica? 
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La pittura è uno dei primi mezzi espressivi con cui sono entrata in contatto e da subito è diventato un linguaggio insostituibile, attraverso cui conoscere il mondo esterno e di riflesso quello interno. Nella mia pratica ricerco l’imprevisto, non parto mai con un’idea troppo definita, proprio perché l’opera, una volta conclusa, deve sapersi svelare nuova, quasi estranea, anche ai miei occhi. Dunque, è molto importante la fase di realizzazione, il dialogo che si instaura tra me e la materia pittorica, il saper soppesare controllo e caoticità, come se l’uno guidasse l’altro e viceversa. È sempre un gioco di equilibri, un lavoro corpo a corpo. Al momento prediligo la pittura ad olio, per la sua straordinaria duttilità, in grado di raggiungere i più svariati esiti. Mi consente di imprimere i pensieri rapidamente, di stratificarli e trasformarli in ogni istante, conservando tutti i passaggi che hanno contraddistinto le varie fasi del lavoro. Trovo interessante la sua brillantezza e soprattutto la lenta essiccazione della materia, in quanto permette di modificare e specialmente togliere gli strati di pittura più superficiali, per rievocare quelli sottostanti. Nonostante sia una tecnica tradizionale, trovo che sia in grado di adattarsi perfettamente anche alle intenzioni più contemporanee».  

Quali sono tra le esperienze che hai fatto quelle che ti hanno più aiutato a creare la tua cifra espressiva? 
«Ho avuto la fortuna di trovare dei buoni professori, fin dal Liceo, che, in modo diverso, sono stati capaci di esaltare e sviluppare le mie predisposizioni naturali e i miei interessi. L’esperienza all’Accademia di Venezia, rappresenta sicuramente il passaggio decisivo, il più importante del mio percorso artistico: qui infatti, all’interno dell’Atelier F, ho scoperto un ambiente stimolante, di condivisione e di confronto quotidiano, che incarnava esattamente ciò che in quel momento stavo cercando. Mi sono trovata al posto giusto al momento giusto».

Che rapporto hai con il colore?
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Il colore, come dicevo, ha un’assoluta centralità nel mio lavoro, tanto da essere più importante della forma stessa. I mondi che rappresento nei miei dipinti acquistano la loro forza espressiva e il loro significato da esso, in quanto, trattando rappresentazioni formalmente e semanticamente aperte e ambigue, il colore è l’unico elemento in grado di unificare o frammentare, di veicolare il tutto. Nella mia pittura è il primo elemento capace di catturare l’attenzione, scavalca la superficie per parlare direttamente al sentire più intimo e profondo, rievocando determinate sensazioni e atmosfere. La scelta di utilizzare spesso cromie complementari, contrastanti e irrealistiche, deriva dalla volontà di allontanarmi dalla realtà a me più vicina, cui effettivamente attingo, per renderla allo stesso tempo attraente e riluttante, distorcendola e trasponendola in una dimensione sconosciuta e straniante».