Leonardo Petrucci

Su tappeti indiani fra alchimia e astrofisica per portare il primo uomo su Marte

Il perno attorno al quale ruota la ricerca artistica di Leonardo Petrucci è l’alchimia, che di volta in volta incontra altre conoscenze come astronomia e astrofisica. Le opere dell’artista toscano legano indissolubilmente arte e scienza, portando l’osservatore in un mondo di bellezza ed equilibrio matematico. Artista curioso, Petrucci è attratto da tutto ciò che non è usuale, si muove con disinvoltura tra i media più diversi, giocando sempre con la percezione dello spettatore. Il 2018 è stato senza dubbio il suo anno, reduce da due personali di successo, è tra i finalisti del Talent Prize con l’opera SOL 627, parte del più ampio progetto Red Hope.

Partiamo proprio da Red Hope: com’ è nato?
«Red Hope è probabilmente il progetto più impegnativo della mia carriera. L’idea nasce tre anni fa dalla volontà di far compiere allo spettatore un’azione pionieristica. Fondendo alchimia, astronomia e astrofisica, ho immaginato di accompagnare l’uomo a muovere il primo passo su Marte. Ma come fare? Germoglia l’intuizione di realizzare dei tappeti, la cui funzione è proprio quella di essere calpestati; il passo successivo è stato quello di riprodurvi fedelmente delle porzioni di suolo del pianeta rosso, grazie alle fotografie del Rover Curiosity della NASA, scattate dal 2012 ad oggi. Mi sono confrontato con la curatrice Giuliana Benassi, spiegandole la volontà di realizzare una mostra in un luogo non canonico: un negozio di tappeti. Benassi mi ha messo in contatto con Zinouzi Tapì, che è “il” negozio di tappeti a Roma. Grazie al contatto con i loro artigiani, abbiamo deciso di far realizzare i tappeti a mano in India. Il processo è stato lento e dispendioso, c’è voluto all’incirca un altro anno per avere tutti e 14 i tappeti, ma ne è valsa la pena. Con la collaborazione della gallerista Clara Natoli, l’esposizione si è poi spostata a Montecarlo con il nome Rubedo, ospitata dalla galleria NM>Contemporary, ed è stata un successo».

 Il progetto è concluso?
«Tutt’altro, a oggi sono in produzione due nuovi tappeti. Ci credo fortemente e ho intenzione di portarlo avanti finché saranno disponibili fotografie del pianeta, o finché l’uomo non ci a metterà piede. Rimarrà una ricerca parallela alla mia produzione, con l’unica clausola di non ripetere mai i soggetti riprodotti sui tappeti. Il solo ostacolo è il reperimento di fonti fotografiche, come è immaginabile, Curiosity non invia scatti del suolo marziano tutti i giorni».

Come hai ottenuto il patrocinio della NASA?
«Avevo già realizzato in precedenza un progetto con patrocinio NASA. Nel 2015 la Fondazione Pastificio Cerere ha compiuto 10 anni e il palazzo in cui ha sede 110. Per più di un anno si sono celebrate le ricorrenze con le mostre dei sei artisti storici della Fondazione. Esattamente nello stesso anno la sonda Dawn di NASA, ASI e INAF, stava entrando nell’orbita del pianeta nano Cerere, del quale, per la prima volta, avremmo potuto vedere la superficie con chiarezza. Pensai di omaggiare con un lavoro la coincidenza, gli artisti in mostra e tutti quelli passati dal Pastificio. Senza dire niente a nessuno, preparai il progetto, in inglese, e molto ingenuamente lo mandai alla NASA. È stata un tentativo avventato, ma la NASA, non solo rispose, accettò di farmi utilizzare il proprio logo e coinvolse pure l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Astrofisica. Per Red Hope non ho fatto altro, quindi, che sfruttare gli stessi canali, ho presentato la nuova idea e anche questa è stata accolta con entusiasmo».

In ogni progetto ti confronti con media diversi. È una variabile stimolante? Come si sviluppa la scelta?
«Per me non solo è molto stimolante, è proprio fondamentale. Sono curioso per natura, mi piace confrontarmi con tecniche diverse, scoprirle e padroneggiarle. Capisco che questo, in un’ottica economica, forse non sia l’atteggiamento migliore: il mercato richiede riconoscibilità. Per scoprire il filo conduttore nel mio lavoro bisogna conoscerlo a fondo. Tutta la mia ricerca parte dall’alchimia, che cerco poi di coniugare con altre materie, con la scienza in generale; la mia volontà è quella di dare una coerenza all’aspetto di ricerca, più che a quello tecnico. Semplicemente, quando ho un’idea cerco di esprimerla nel miglior modo tecnico possibile».

 Ora a cosa stai lavorando?
«Attualmente il progetto principale è quello di non fare personali per un po’: ne ho fatte tre in meno di un anno, Red Hope, Rubendo e 8 a Bibo’s Place, sono state davvero impegnative, appaganti ma faticose. Tornando a oggi, sto lavorando a varie cose. Una, che procede lentamente, è il progetto Viandante, pensato con Andrea Aquilanti, curato da Barbara Reggio e sponsorizzato dall’Accademia di San Luca; fa parte dei lavori vincitori del bando Arte sui Cammini. Un altro progetto è quello che mi ha visto rivestire il ruolo di curatore della mostra Taxidermy assieme a Barbara Reggio. La mostra è stata particolare, a partire dalla location: un negozio di tassidermia di Roma. Il piccolo spazio è molto affascinante, ma purtroppo la proprietaria, una signora anziana, ha deciso di chiuderlo e vendere tutto. Da lì l’idea: chiamare artisti le cui ricerche coinvolgessero un’estetica che si potesse accordare con l’atmosfera di sospensione dalla morte. Così, artisti concettualmente distanti come Andreco, Corinna Gosmaro, Calixto Ramirez, si sono ritrovati esposti assieme. La mostra non ha avuto pretese galleristiche o museali, si è posta esattamente al centro tra un’esposizione e un divertissement, qualcosa che deve essere vissuto con una certa leggerezza».

Progetti in cantiere?
«Il 3 maggio del 2019 sarà il 500esima anniversario della morte di Leonardo da Vinci, figura a cui sono profondamente legato. Ho deciso di realizzare un’opera per la ricorrenza. Non voglio svelare i dettagli del lavoro, però posso dire che per questo lavoro ritornerò a utilizzare un oggetto di cui già mi sono servito in passato: la cassaforte, che ritorna con un concetto diverso».

 BIO

1986
Nasce a Grosseto il 3 maggio

2012
Inizia la sua attività al Pastificio Cerere a Roma

2016
Presenta la personale The Light Hides the Lights a Fondazione Baruchello, Roma

2017
Presenta la personale Red Hope nel negozio romano di tappeti persiani Zinuzi

2018
Due sono le personali di quest’anno: Rubedo, ospitata dalla galleria NM>Contemporary nel Principato di Monaco e 8, negli spazi della galleria Bibo’s Place di Roma

BOX
L’opera SOL 627 fa parte del progetto RED HOPE, per il quale l’artista ha fatto tessere a mano, in India, vicino a Varanasi, dei tappeti che riproducono porzioni del suolo di Marte. Le fonti fotografie utilizzate sono gli scatti inviati, dal 2012 a oggi, del Rover Curiosity della NASA. La funzione principale del tappeto è quella di essere calpestato, e essendo SOL 627 una riproduzione del suolo del Pianeta Rosso dona, a chi lo calpesta, il primato di esser la prima persona ad aver messo piede su Marte. Il lavoro vuole essere un’opera pioneristica, inaugurando l’azione di muoversi concettualmente e fisicamente su un pianeta che in futuro ospiterà la vita umana. La scelta di far realizzare il tappeto in oriente rimanda inoltre alla tradizione fiabesca del tappeto volante. Nel caso di RED HOPE si parla di tappeti volanti, ma di natura cosmica. Il progetto è avvalorato dal patrocinio NASA, l’Agenzia Spaziale Americana.