Un giovane mecenate trentino

Incastonata tra le cime rocciose delle Dolomiti, a Bolzano, si scorge una costruzione che sembra parte integrante del territorio, sia per la sua architettura sia per il porfido di cui è realizzata, che ne nobilita la raffinata struttura. Sembra quasi una scultura nella montagna. Si tratta dell’affascinante e neonata fondazione Antonio Dalle Nogare, una nuova realtà che da quest’anno va ad alimentare lo straordinario fermento contemporaneo del Trentino. Il 22 settembre sono iniziate le attività con un opening che alla roboanza ha preferito la sperimentalità. A inaugurare lo spazio, infatti, sarà una personale di Rayyane Tabet, giovane e talentuoso artista libanese, che con le sue sculture cerca di articolare la storia di oggetti attraverso una soggettiva lettura elaborata insieme ad altre persone del posto. Uno studio che si inserisce perfettamente nel contesto territoriale. Del resto ad Antonio Dalle Nogare, come ci spiega lui stesso, interessa proprio questo: valorizzare la sua terra attraverso l’arte.

Come nasce il progetto della Fondazione?
«Nel 2011 abbiamo inaugurato uno spazio dedicato all’arte contemporanea a Bolzano, principalmente con il desiderio di condividere l’esperienza di collezionista con altre persone appassionate e interessate all’arte. La Fondazione nasce nel 2018 come naturale evoluzione del lavoro svolto in questi anni, per aprirci maggiormente al territorio con lo scopo di promuovere l’arte contemporanea, intesa come linguaggio per leggere i cambiamenti della società, come strumento di dialogo tra arte, architettura, innovazione e ricerca artistica».

Che tipo di insediamento culturale nel territorio ha in mente? Proporrete collaborazioni ad altre istituzioni?
«La nostra struttura gode già da tempo di una collocazione precisa nel territorio in quanto è molto conosciuta e apprezzata dai visitatori che provengono da tutto il mondo. Anche per quanto riguarda le collaborazioni, siamo da sempre molto attenti a sostenere le altre istituzioni territoriali anche nello scambio progettuale. In futuro è nostra intenzione potenziare queste connessioni sia a livello locale che internazionale».

Quali sono le tematiche che le interessa di più sviluppare nel dialogo proposto dalla sua Fondazione?
«Prediligo il rapporto personale con artisti, in particolare giovani, verso i quali da sempre nutro uno specifico interesse: desidero comprendere lo spirito e le motivazioni che li inducono a realizzare determinate tipologie di lavori piuttosto che altri. La volontà di incentivare l’operato dei giovani artisti, anche prescindendo da tematiche specifiche, è un fattore altamente stimolante nel dialogo che si crea con essi, infatti fin dall’apertura della nostra struttura è stato dato largo spazio alle produzioni, anche site-specific. È proprio un progetto di questo tipo a inaugurare il programma espositivo della Fondazione in corso dal 22 settembre».

La sua realtà rappresenta un nuovo apporto dato da un privato al sistema del contemporaneo. Come pensa che il sistema pubblico possa provare a colmare la sua distanza con lo spirito mecenatistico privato?
«Il ruolo del sistema pubblico è diverso dal ruolo del privato ed entrambi sono complementari a un sistema che deve poter prevedere diversi aspetti attinenti alla valorizzazione culturale e artistica: la tutela dei beni pubblici, così come la valorizzazione e la fruizione, spetteranno sempre a soggetti pubblici, mentre il privato anche nella veste di Fondatore può colmare ambiti maggiormente dedicati alla produzione artistica, alla ricerca, alla sperimentazione, godendo di maggiore flessibilità nell’uso delle risorse».

La prima mostra è quella di Rayyane Tabet. Cosa la affascina di quest’artista?
«Si tratta di un artista che sento molto vicino al nostro territorio, sia per le sue origini geografiche, sia per il tipo di opere che realizza per mezzo di una ricerca indipendente, raccontando la storia degli oggetti e dei materiali esistenti di cui spesso si appropria nel luogo nel quale va a realizzare la sua opera».

La sua storia di collezionista è molto lunga. Quali sono gli artisti che ha conosciuto che hanno lasciato un segno nella sua vita?
«Ho avuto la grande fortuna di conoscere molti artisti, con alcuni è nato un dialogo intenso, tanto che hanno collaborato attivamente alla realizzazione dell’edificio che oggi ospita la Fondazione. In particolare, sono sempre stato attratto da artisti concettuali, come Dan Graham, che ha realizzato un padiglione nel giardino della biblioteca, e Robert Barry, che ha creato un lettering site-specific per le vetrate».

Su quali prossimi progetti state lavorando?
«Abbiamo definito un programma espositivo per il 2019 che verrà ufficializzato nei prossimi mesi e vedrà realizzate due mostre, di cui una in primavera e una sempre in autunno; stiamo poi lavorando con istituzioni come la Libera Università di Bolzano per progetti di divulgazione artistica e supporto agli studenti. La collaborazione con Museion è da sempre molto attiva e lo sarà anche in futuro».

Info: fondazioneantoniodallenogare.com