”Nacque nel 1593, quando suo padre, un pittore che cominciava a godere di una certa fama, aveva bottega a Roma, in via della Croce. Romana di nascita, trascorse la fanciullezza in mezzo a fratelli, tele, pennelli e spazzole, oli e un’infinità di granelli di polveri di pigmenti preziosi che attendevano di trasformarsi in colori per l’eternità”. È l’evocativo incipit dell’intensa biografia a fumetti di Artemisia Gentileschi, una artista fuori dal comune, ricca di talento e legata fin da piccola al papà Orazio, anche lui noto pittore (”sulla sua culla e sui suoi primi passi non si posò lo sguardo delle muse, bensì la mano gentile di una madre che avrebbe vissuto solo poche timide primavere, e le esigenze di un padre che ad ogni istante pretendeva che ci si desse da fare per l’arte, che si mescolassero le polveri, si scaldassero gli oli, si rimestassero le colle”).
Donna indomita e tenace, «una femminista ante litteram» – come è stata tratteggiata – Artemisia intravide lo scorcio di un’esistenza indipendente e differente rispetto all’epoca, e combatté con forza per riuscire a ottenerla. Scritto dalla fumettista Nathalie Ferlut e disegnato dall’illustratrice Tamia Baudouin, entrambe francesi, il graphic novel Artemisia (96 pagine a colori, 17 euro), edito da Coconino Press e Fandango, conduce il lettore sulle orme di una figura rara, divenuta nel tempo un’icona del femminismo. Definita dalla stampa specializzata transalpina «un personaggio simbolo», ma anche «talentuosa, testarda, dalla forza incredibile, visionaria, nonché capace di intravedere le possibilità di una vita diversa e percorrere la sua strada, per quanto ardua fosse, per potersi affermare come essere umano a pieno titolo», Artemisia è stata la prima donna ammessa all’Accademia delle arti del disegno di Firenze, laddove la pittura era appannaggio esclusivo degli uomini (”concentrati ragazzina, questo disegno fa schifo. Le femmine che disegnano fanno sempre di queste cose un po’ arrotondate, leziose. Non sapete dove tirare una riga”, l’ammonisce il suo maestro Agostino Tassi).
Una donna, infatti, non poteva acquisire una formazione ufficiale, firmare i propri dipinti e – meno che mai – ricevere compensi. Vittima di stupro (perpetrato dallo stesso Tassi, l’uomo a cui Orazio aveva mostrato, per primo, i dipinti della figlia, e che ”la scrutava come un rapace che si divertiva a vedere tremare una preda davanti a sé”) nella Roma papalina del seicento – ”tanto lo so che non sei vergine. Lo dicono tutti, e allora perché non con me”, la schernisce il suo stupratore, aggiungendo: ”Facciamo così: tu non dici niente e io ti sposo, così nessuno saprà quello che è successo” – Artemisia Gentileschi (scomparsa nel 1652) riuscì a far condannare il suo aggressore, trionfando sull’ostilità e pregiudizio dell’ambiente circostante. In particolar modo, rivalendosi nei confronti di un microcosmo artistico maschilista e spietato, vivendo in maniera indipendente della sua arte. Il volume Artemisia si chiude con un accurato testo che approfondisce la vita della protagonista, ”le cui opere vibranti, uniche e colorate, a oltre quattro secoli di distanza, hanno ancora storie e grandi emozioni da trasmetterci”.
Info: www.fandangoeditore.it