Uomo e natura, violenza e sottomissione si fondono nello sguardo di sei artisti: Julie Curtiss, Petrit Halilaj, Lin May Saeed, Virginia Russolo, Lorenzo Scotto di Luzio, Sophie Vallance. In uno degli scorci più caratteristici di Roma, la galleria T293 propone la mostra Predatory Behavior, interpretazione molteplice e complessa del rapporto tra femminismo e difesa degli animali. Tutto nasce dalla riflessione della studiosa americana Josephine Donovan espressa in una serie di saggi pubblicati a partire dalla metà degli anni Novanta (Animals and Women: Feminist Theoretical Explorations, Beyond Animal Rights: A Feminist Caring Ethic for the Treatment of Animals, The Feminist Care Tradition in Animal Ethics: A Reader), che pongono le basi per un approccio femminile e femminista all’annosa questione dell’abuso della specie umana su tutto il resto del regno animale. Al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, il comportamento predatorio citato nel titolo dell’esposizione non è solamente quello delle cosiddette bestie, ma anche e soprattutto quello dell’Uomo che, nel corso della sua lunga storia, ha affermato e difeso la propria supremazia con la violenza.
Il tema vive negli ampi spazi della galleria trasteverina in maniera eterogenea ma coerente, dove la varietà di stili e mezzi ben si armonizza in un suggestivo colpo d’occhio. Il dialogo tra le sculture minimal di Lin May Saeed e gli impasti di materia organica e metalli pregiati di Petrit Halilaj accompagna e valorizza lo stile neo-fauve della giovanissima Sophie Vallance che fa eco ai personaggi irruenti di Virginia Russolo. Impressionante anche la versatilità dell’unico artista rappresentato dalla galleria T293 presente in mostra, Lorenzo Scotto di Luzio, che mette in scena tra fotografia e pittura una versione ferina e disturbante dell’Uomo e della sua deriva grottesca. Più classico e rassicurante l’immaginario onirico di Julie Curtiss che dipinge dettagli della vita di donne-pesci, dai colori vivaci e dalle forme sinuose.
In Predatory Behavior la Donna diventa il simbolo della Natura, intesa come energia che genera e feconda ogni essere vivente: chiaro, allora, il richiamo antispecista tra questioni di genere e rivendicazioni animaliste, dove entrambe sono il grido di rivalsa di esseri viventi a lungo violati e sfruttati. Grande empatia tra uomini e animali anche nell’installazione audio pensata dal kosovaro Petrit Halilaj, forse la personalità più interessante dell’intera esposizione, la cui ricerca parte dal recupero degli animali imbalsamati del Museo di Storia Naturale del suo Paese. L’artista rende omaggio a quelle salme abbandonate con sculture in sterco bovino poste su piedistalli di ottone, creando delle opere in cui ogni dettaglio è carico di vita e di significato. Un plauso anche alla volontà dei curatori di voler promuovere, accanto ad artisti già riconosciuti dal mercato internazionale, anche la semi-esordiente Sophie Vallance, nata in Scozia nel 1993 e attiva tra il Regno Unito e la Germania con il suo stile allo stesso tempo fresco e colto, ricco di ispirazione espressionista. Il sangue e il legame mortale tra uomo e animale sono al centro della poetica per immagini dell’artista scozzese che gioca col figurativo attraverso una pennellata nervosa e slogan istintivi.
Fino al 28 luglio, Info: www.t293.it