Intervista con Andrea Gandini, giovanissimo artista romano che spopola grazie al suo modo semplice, poetico e originale di fare street art: intagliando tronchi abbandonati per le via della Capitale e facendone delle sculture che raccontano della città, di chi la vive e anche solo di chi passa. In occasione della sua prima mostra personale
Si inizia con la più classica delle domande: come ha avuto inizio il tuo lavoro con i tronchi? «Si può dire che ha avuto inizio in studio: io andavo ancora al liceo (artistico) e volevo distinguermi dagli altri che lavoravano principalmente con la creta. Ho iniziato a lavorare con pezzi di legno che trovavo per strada, lavorando su dei ritratti ”primitivi” anche perché non avevo ancora capito come funzionava il legno. Inoltre fuori dallo studio c’era un tronco tagliato sul quale pensai di fare un esperimento che si legasse e che facesse in qualche modo riconoscere il mio studio. Feci un volto con delle decorazioni simili alle grotesque del Seicento. In un giorno trovai circa una ventina di persone che si erano interessate al mio lavoro. Ho iniziato a mettere io qualche lavoro su Facebook solo al sesto tronco, inizialmente erano gli altri che vedendo le mie opere per strada le fotografavano e le condividevano».
Hai mai utilizzato qualche tuo lavoro a scuola? C’è stato qualche insegnante che ti ha in qualche modo guidato, suggerito..? «Feci vedere qualche foto a un professore ma mi venne detto che era un lavoro troppo inutile dal punto di vista logistico, anche faticoso da perseguire. Io non riuscivo a fare le stesse cose rifinite degli altri e volevo trovare un mio stile distintivo, dimostrando che sapevo andare oltre il compito scolastico».
Parlando invece dello stile. Questa mancanza di rifinitura, fa parte proprio di esso, di quello che tu vuoi? «Non pretendo di competere con il non finito di Michelangelo, tuttavia come cifra mi contraddistingue e soprattutto si adatta bene al legno. L’idea di trovare la scultura già presente dentro la pietra, per il legno è ancora più valida. Si deve immaginare che il tronco è stato un essere vivente, è come lavorare su un osso di balena, è nato da qualcosa di vivo e lavorandoci assisti ai suoi passaggi, come le imperfezioni del suo corpo o le malattie che può aver avuto. Credo che quello faccio sia una poesia e anche se può non piacere, l’obiettivo è creare una emozione che varia a seconda della persona che passa. Questo mi interessa molto».
Quale è il tuo rapporto con la città e gli abitanti? Indubbiamente attiri l’attenzione e, come per la street art che è amata e contestata, anche il tuo lavoro deve essere stato soggetto a commenti di ogni genere, anche perché ormai viviamo in un’epoca sociale in cui tutto deve essere contestato e polemizzato. «Avrò accumulato per strada circa 15.000 ore e per questo devo aver conosciuto ogni genere di persona. Incontri sempre qualcuno che vede in te qualcosa di negativo. Ho avuto la sensazione che alcune persone si arrabbiassero con me perché avevano la nostalgia di un periodo più felice. Una signora anziana si è quasi messa a piangere dalla rabbia e mi ha detto di andare via; credo abbia visto qualcosa in me che le ricordava al contrario qualcosa di felice, di emozionante. Ho avuto anche delle ammonizioni dalla Polizia ma niente di grave; in compenso ho ricevuto delle lamentele da un gruppo di ambientalisti che hanno definito il mio profilo ”una galleria degli orrori” solo perché a alcuni miei tronchi sono ricresciute le foglie e quindi hanno pensato che io lo stessi torturando».
Chi sono le figure che scolpisci? «Io cerco di canalizzare quanto più possibile le caratteristiche delle persone che mi passano dietro, di prendere i visi e i corpi delle persone che ho incontrato e di renderle parte della figura che appare sul tronco. È un’interpretazione di quello che vedo ogni giorno e che si lega al posto in cui è radicato il tronco».
Si avverte che c’è un legame con la città e la zona in cui il tronco si trova. «Certo. Si trovano non solo le persone che passano ma anche dei piccoli dettagli di chi vive quotidianamente quel luogo o di cosa lo simboleggia. Per esempio a Piazza Trilussa vi è la “Papessa” che si ricollega proprio al periodo della Roma papalina di Trastevere. Un altro a Via Grimaldi (Zona Portuense) raffigura un signore che lì vicino ripara gli orologi in maniera abusiva; ogni volta la Polizia gli smonta l’attività e lui ricompra tutto d’accapo. C’è una forte componente sociale e antropologica in quello che faccio, mi piace conoscere le persone e involontariamente quello che faccio si trasforma in una analisi della città oggi e di chi la vive e come. Se dovessi fare un ritratto “su commissione” non credo che avrebbe lo stesso valore genuino dei miei tronchi fuori».
L’aspetto delle tue opere ha un legame con te, con il tuo viso, con la tua identità? «Si tratta di una attività performativa e la maggior parte delle persone che notano il mio lavoro lo notano quando ci lavoro. Per cui c’è per forza un legame anche con me».
Parliamo ora della mostra Troncomorto, la tua prima personale che inaugura il 6 Aprile a cura di Livia Fabiani. Risponde Livia Fabiani: «È stato interessante canalizzare il lavoro dalla strada a un luogo chiuso, una galleria al centro (La Clessidra Sala Blu) che ha avuto altre volte esposizioni di street art. Il percorso artistico di Andrea è tipo quello di Vhils, cambia il tipo di materiale. Sul tipo di allestimento vi è stata la massima libertà, saranno presentate quattro opere più grandi, in cui eccezionalmente il procedimento è stato invertito: prima è stato fatto il viso e poi è stato inserito all’interno del tronco, ma l’idea della cristallizzazione della figura e dell’essenza di ciò che porta viene mantenuta».
Quando si ha a che fare con la street art, vi è sempre quel discorso identitario che vuole che quando essa viene portata all’interno di una struttura e tolta dalla strada la denaturalizzi e le venga tolta parte di quell’ unicum che la rende arte. Tu che ne pensi? «Non c’è dubbio che il pezzo esposto o comprato non avrà mai la stessa forza di quello che si si trova dove è stato creato. Tuttavia può risultare come una testimonianza codificata e concentrata di quella poesia che si vede per strada. Vedere le opere in mostra come un piccolo riassunto di quello che si vede fuori».
Risponde Livia Fabiani: «Senza contare che i tronchi in giro per la città il Comune li farà rimuovere. Per cui cominciare a esporli non sarà altro che un’anticipazione di una evoluzione naturale per questo tipo di opere, è quasi una direzione che prende naturalmente l’arte di Andrea, oltre a quella naturale che sarà la marcitura e il normale disintegrazione del legno».
Tu per lavorare vivi la strada e le condizioni in cui la città vive. Cosa pensi di essa, del degrado di cui tutti parlano e che tutti mal sopportano? «Penso che la corruzione morale che sembra vigere oggi la si ritrovi in molti dettagli urbani: il tronco marcisce, le strade si spaccano ma tuttavia, a mio parere, Roma rimane affascinante e bellissima anche per questo. Mi piace assistere a certe cose apparentemente degradate – come per esempio il palazzo abbandonato pieno di graffiti- in cui si può andare non solo a fare arte ma in cui si può assistere a un altro tipo di vita, magari meno bella ma sempre vita. Ho una visione ottimista per il futuro della città, non si sta andando solo verso il peggio. È come se l’arte stesse vivendo in un secondo Decadentismo e a modo suo è affascinante».
La tua arte, proprio per il suo legame con le origini e il territorio, potrebbe stare altrove? In altre città, magari in luoghi dove la mancanza di degrado e di materiale su cui lavorare renderebbe difficile. «Penso di si: sebbene il tronco abbandonato possa sembrare un elemento di incuria, allo stesso tempo rappresenta quelle situazioni in cui la natura ha fatto la sua comparsa e questo è possibile in ogni città anche in una New York nel quartiere più bello. Anche nelle città apparentemente più ordinate e curate è possibile trovare angoli e quartieri in cui c’è una pianta morta».
Il tuo stile, vista l’età giovanissima che hai, resterà legato ai tronchi, alla scultura del legno o pensi che esplorerai altre forme d’arte? «Credo che almeno al legno e al suo riutilizzo resterò legato, specialmente legno urbano, certo è che ci saranno degli sviluppi che in questo momento no è possibile prevedere».
Per te Arte è? «Libertà».
E il legno? «Età».