Atmosfera rarefatta, architetture impossibili, forme contorte che compongono visi grotteschi o stupefatti. E il tutto stando tra le nuvole. Questa la suggestione che si impone entrando a vedere Gli Imbambolati la prima esposizione romana dell’artista Benni Bosetto (Milano, 1987) nello spazio di ADA. La galleria, che nasce da un progetto di Rolando Anselmi e Carla Chiarchiaro, è un luogo destinato alla promozione e all’esposizione di artisti italiani e emergenti, con una massima apertura alle varie possibilità di linguaggio. Nel caso de Gli Imbambolati, l’esposizione si modella perfettamente tra le pareti immacolate dello spazio e quello che appare come uno spazio limitato, diventa un paesaggio atemporale interrotto da archi ciechi e colonne che reggono il nulla. La suggestione è di trovarsi in un paradiso disegnato su una carta millimetrata, in cui pervade sul momento un certo senso di aulico e di immacolato. Ma chi sono gli imbambolati? Tra i vari cirri immaginari, compaiono parti di volti, braccia tese e corpi arrotolati su loro stessi. Non sono figure angeliche ma caricaturali, aggraziate nel loro disordine. Sono questi gli Imbambolati, figure che si agitano in un turbine di movimenti, bassorilievi in ceramica e parti di scultura che trovano vita in un lavoro site specific pensato apposta per la galleria.Il fulcro del lavoro di Bosetto è il corpo con tutte le relative implicazioni sociali, simboliche, storiche e, naturalmente, artistiche e con un largo uso di riferimenti forbiti. L’ambientazione riprende in maniera parziale la celebre commedia di Aristofane, in cui le nuvole sono le divinità di chi non ha voglia di fare niente ma anche di chi, attraverso la non chiarezza, raggira gli intelligenti con discorsi qualunquisti. Tra i riferimenti sono anche il tema dei ciechi che si guidano da soli o della moltitudine di gente felice in un universo senza tempo come nel Giardino delle Delizie (entrambi raffigurati da Hieronimus Bosch), o La Nave dei Folli di Brant, il quale riprende nella sua opera l’idea di un immaginario patrono della gente volgare e screanzata.
Si tratta di rappresentazioni senza narrazione e senza polemica, ma al contrario con una giusta dosa di ironia, di corpi incarnanti la moltitudine umana che spesso cade nell’insensatezza e nella convinzione di una elevazione interiore e intellettuale. Sebbene queste figure siano tra le nuvole, sono goffe e buffe, annaspano nella propria dabbenaggine e sono oggetto di ambigue simbologie. L’uso delle mosche nell’esposizione è una simbolica impertinenza che affonda le radici nell’iconografia ma anche nel senso comune, poiché le mosche erano simbolo di marcio, di morte potenziale e in generale si contrapponeva alla farfalla come elemento positivo. Interessante anche la presenza di un uovo appeso che a prima vista ricorda la simbologia di Piero della Francesca; ma dal momento che l’apparente candore aulico del tutto viene sovvertito da una più attenta analisi dei dettagli, anche in questo caso l’uovo si rivela come qualcosa di molto simile a una regione sfinterica, arricchendo la centralità degli elementi simbolici che deviano l’apparente lirismo della composizione.
Tra le varie esposizioni di Benni Bosetto si trovano DAMA, a cura di Lorenzo Balbi (Torino 2016), De Appel Art Center (Amsterdam, 2016), Marselleria (Milano, 2015), Fanta Spazio (Milano, 2014).
Fino al 12 Maggio, info: www.adaproject.it