La materia nuda si è fatta carne, carne macellata che reca le sembianze di viscere, muscoli, nervi, carne ferita e lacerata di un ventre che appeso alle pareti bianche di un museo genera un senso di estraniamento e di rigetto. La descrizione dell’ultima serie di lavori dell’artista indiano Anish Kapoor sembra appartenere a un universo lontano e poco incline alla perfezione geometrica delle sculture e delle forme concave e convesse a cui il nostro sguardo è abituato nel pensare alle opere di uno dei più grandi maestri internazionali del contemporaneo. Quelle forme scultoree di vuoti e di pieni lasciano il passo a una ricerca in seno alla materia. «Ho realizzato questi lavori da scultore, sono sempre stato uno scultore, ma dentro di me si cela un’anima di pittore, ho ideato questa nuova serie pensando a me stesso intenzionalmente come ad un pittore». Nell’affermazione di Kapoor ritroviamo tutta la forza dei suoi gesti, la materia che diviene carne nelle sue mani, accende da subito i paragoni storico artistici: Robert Rauschenberg ed Hermann Nitsch appaiono tra le viscere dei lavori esposti al Macro, trenta opere di cui venticinque inediti. Una produzione che inizia dieci anni fa, i commenti più insistenti risiedono nell’irriconoscibilità di Kapoor eppure sondando tra i suoi lavori, qualcosa nelle origini dell’artista si percepisce. Nei suoi primi esperimenti Kapoor utilizza il pigmento puro e lo plasma nella sua deriva plastica e architettonica, la materia si abbandona all’ambizione creativa, nella volontà di rendere tangibile l’inaccessibilità astratta di un colore. Il successo, la gloria, il clamore del proprio operato sembrano quasi non intaccare il viaggio intrapreso da Kapoor, la sua carriera narra di un utilizzo della scultura che possiede dinamiche ogni volta sorprendenti, in questo allestimento pensato per il Macro di Roma l’artista sembra non avere remore, dopo quasi dieci anni di assenza in un museo italiano, questo progetto espositivo definisce una sua nuova percezione esistenziale. «Non ho mai pensato seriamente al fallimento – afferma Kapoor – in tecnologia viene usato molto spesso un termine “fail quickly” il percorso di un artista è connaturato dall’assunzione di rischi, ed io ho sempre rischiato senza pormi il pensiero delle conseguenze».
Scrive Gilles Deleuze in un suo storico saggio sulla pittura di Francis Bacon: “Questa zona oggettiva di indiscernibilità era già tutto il corpo, ma il corpo in quanto carne o carne macellata. Naturalmente il corpo è composto anche di ossa, ma le ossa sono solo struttura spaziale. Si è spesso distinto fra carne e ossa, il corpo si manifesta solo quando viene il sostegno delle ossa, quando la carne non ricopre più le ossa, quando carne e ossa esistono l’una per le altre, ciascuna però per suo conto, le ossa come struttura materiale del corpo, la carne come materiale corporale della Figura”. Mutuare le parole di Deleuze al lavoro di Kapoor vuol dire donare una differente prospettiva nella narrazione di questo progetto espositivo curato da Mario Codognato, quella carne macellata a cui si riferisce il filosofo francese è senza dubbio un elemento chiave su cui riflettere. Il silicone mischiato al pigmento è divenuto corpo, un corpo informe, carcassa esanime di una plasticità sottratta alla fisionomia e alla sublimazione dell’essere umano. Kapoor si mette nuovamente in gioco, rischiando ancora una volta sul proprio lavoro ed eliminando quell’aurea di perfezione a cui siamo abituati nel riconoscere un suo prodotto artistico. Il pensiero portante di questa mostra giace nel rapporto complesso di un’arte troppo spesso votata al compiacimento di collezionisti, gallerie e mecenati. M l’arte non è approvazione, spesso si rileva nelle sue forme più audaci, nei meandri di una ricerca designata alla dissacrazione, e se questo progetto espositivo può rivelarsi come un pugno allo stomaco, bisogna semplicemente essere pronti a riceverlo, poiché forse, nell’era digitale del consenso a tutti i costi, è più sensato e onesto il disgusto piuttosto che la mera e domestica rassegnazione di artisti votati esclusivamente a una sterile educazione estetica che sicuramente non fa rima con rivoluzione. Fino al 17 aprile 2017, MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma, via Nizza 138, info: www.museomacro.org
photo Eliana Casale