Quando si entra nell’imponente spazio della galleria Gagosian, si viene travolti da un’onda di freschi blu e azzurri incastonati dietro crepe che possono far pensare a un Burri stile Ischia. In verità, i lavori di Azulejão raccontano un viaggio transoceanico che inizia nei vicoli del tradizione medioevale portoghese sino al Brasile contemporaneo, attraverso il simbolo della mattonella azulejão. Si tratta di formelle in ceramica smaltata decorate con raffigurazioni o parte di esse, il cui nome deriva dall’arabo “pietra lucida”, che venivano usate per decorare abitazioni e chiese e che la colonizzazione, la religione e la tradizione fecero arrivare sino al Brasile e non solo (basti pensare al convento di San Francesco a Salvador).
Adriana Varejão (1964) è nata a Rio de Janeiro dove abita e lavora; la riflessione sugli azulejão comincia dalla fine degli anni ’80 ma tra le personali più importanti si ricordano l’omonima Azulejões, al Centro Cultural Banco do Brasil, (2001), Chambre d’échos / Câmara de ecos, Fondation Cartier pour l´art Contemporain, Parigi e alle Biennali di São Paulo (1994 e 1998) e di Sydney (2001). Nelle opere esposte a Roma l’occhio ravvicinato si perde nel turbinio dei colori e delle crepe prodotte dalla secchezza naturale del gesso che ricopre la tela, richiamando alla frenesia di una corrente marina, metafora appropriata di quel viaggio che portò i decori europei in America del sud. Allontanato l’occhio, prendono vita gli elementi vivi dell’iconografia artistica della Varejão, come gli angeli delle chiese, i fiori delle case, le conchiglie del mare e inizia lo spettacolo di questo barocco (blu) contemporaneo che dal’600, riapproda a Roma.
Il Barocco viene visto dall’artista come un inizio e attraverso il suo gusto ibrido, il bello e l’eccessivo, viene raccontato anche il fascino paradossale del Brasile e della sua storia. «Il Barocco si è plasmato in base alla cultura locale – dichiara l’artista – in Brasile si assiste, per esempio, a una forte influenza cinese che deriva dalle attività di commercio della Compagnia dell’India Orientale». All’interno della mostra, oltre alle maioliche ci si sofferma anche su una scultura monolitica dedicata alla città, Rome Meat Ruin (2016), la cui efficacia è affidata nuovamente alla capacità dell’occhio di farsi ingannare; quello che può sembrare un totemico frammento di rovina piastrellata si apre da vicino con elementi di carne viva e insanguinata, creando il perfetto gioco di parole del titolo: non un incontro tra la città e il suo passato ma un trittico di ciò che sono l’anima del Barocco, Roma, carne e rovine. In onore del Barocco e della mostra, per quattro giorni, è stato possibile assistere a Villa Medici alla proiezione di Transbarocco, la sua unica installazione-video del 2014, su progetto di Pier Paolo Pancotto all’interno dell’iniziativa culturale I giovedì della Villa, questions d’art. Erano mostrate inquadrature di chiese barocche a Minas Gerais e Bahia in Brasile corredate da suoni e letture di scritti-chiave per l’identità brasiliana.
Fino al 10 dicembre, galleria Gagosian, via Francesco Crispi 16, Roma; info: www.gagosian.com