La capitale italiana della cultura s’inchina al cospetto di uno dei maestri del ‘900 e non solo, parliamo di Emilio Isgrò. Una grande retrospettiva, divisa in tre sedi: Palazzo reale, Gallerie d’Italia e Casa del Manzoni, e curata da Marco Bazzini, attende i visitatori fino al 25 settembre prossimo. Proprio come Vito Acconci, innanzitutto poeta e poi performer, Isgrò, tra le altre cose anche scrittore, drammaturgo e regista, rientra nella categoria di artisti che potremmo definire totali o totalizzanti, quelli che, secondo il precetto di dannunziana memoria, hanno fatto della propria esistenza una vera e propria opera d’arte.
La poesia visiva di Isgrò, concepita e ormai nota come cancellazione, chiarisce il suo significato ultimo nel rendere manifesto ciò che avvalora il tutto: proprio come la morte, la quale secondo la concezione oraziana avvalora la vita, ciò che viene omesso o nascosto rafforza non solo quello che è manifesto e visibile, bensì anche l’interezza di un’opera letteraria, ne è esempio lampante l’ossessione tangibile del maestro per Pico della Mirandola e per Alessandro Manzoni, (in particolare per il suo I Promessi Sposi) ma anche per alcuni accadimenti storici (quali il terribile attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980), e ancora per gli animali (celebri le cancellazioni per mezzo delle formiche e delle api), o addirittura, provocatoriamente, per alcuni salienti aspetti che riguardano la società (celebre e dissacrante la Cancellazione del debito pubblico realizzata per la Bocconi di Milano nel maggio 2011).
La pittura, veicolo della cancellazione e viceversa, rappresenta in modo quanto mai peculiare nel lavoro dell’artista una forma di scrittura, di quel segno nero, o in questo caso addirittura bianco, che parte da una riflessione che inscindibilmente lega coscio e inconscio, percezione del visibile e del non visibile, doppio Io: Isgrò infatti inizia a dubitare della propria esistenza appena ventisettenne, dopo il suo trasferimento a Milano, quando anche il fratello e i genitori sembravano disconoscerlo: la mostra si apre proprio con la serie di opere in cui viene messa in discussione l’identità del maestro, quasi come in un Big Bang esistenziale, come una nuova genesi o come lo zero in matematica, al cui proposito l’artista asserisce: «La cancellatura è come lo zero in matematica, chiamato a formare, da solo, tutti i numeri e tutti valori».
L’artista siciliano dagli occhi dolci e limpidi, nonostante la sua grandezza, sale con umiltà le scale purpuree di Palazzo Reale per regalare una visione d’insieme dei suoi innumerevoli e potenti cicli artistici, come solo i grandi maestri sanno fare. Certamente Isgrò c’invita a una profonda e mai scontata riflessione: cancellare è scegliere, così come vivere è scegliere, perché, proprio come Sartre insegnava, non si può esistere senza scegliere.