Studio la città a Verona inaugura una bi-personale dedicata a due protagonisti nel panorama internazionale dell’arte contemporanea. Il primo, un omaggio a Hema Upadhyay, l’artista indiana scomparsa l’11 dicembre scorso, uccisa brutalmente con il suo avvocato. I due corpi avvolti nella plastica e chiusi in un cartone sono stati ritrovati nei pressi di un canale di scolo nel quartiere di Kandivali a Mumbai. Una terribile storia che lascia ancora molti interrogativi. In questi giorni la galleria scaligera è orgogliosa di raccontare Hema attraverso la forza descrittiva delle sue opere. La mostra Where the bees suck, there suck I, titolo ripreso da una delle opere esposte, la più rappresentativa dell’artista, descrive esattamente il suo pensiero in modo immediato, intenso, forte e sincero. Tratta grandi problematiche mondiali, riguardanti sopratutto l’India, come la sovrappopolazione, i poteri politici ed economici che schiacciano i più deboli e realtà che non hanno amore se non per il denaro e l’egoismo. L’opera principale, Where the bees suck, there suck I, appunto, è composta da una benna, il grande braccio meccanico che raccogli, scarica, distrugge, controlla migliaia di piccole vite, senza protezione, descritte in fragili baracche multicolori di alluminio dipinto. Una montagna di speranze, sogni, ricordi ammassati senza respiro dove la cieca convinzione nel bene è l’unica via per combattere le diseguaglianze. L’opera è stata esposta in diverse location della penisola e come al Macro di Roma nel 2008, al Museum on the Seam di Gerusalemme nel 2010 e al Tennis museum di Helsinky nel 2011. Ad accompagnare questa emblematica e decisa installazione una selezione di foto di Michele Alberto Sereni che descrive il lavoro dell’artista: Hema, la principessa indiana. Nasce a Baroda, India nel 1972, un duro passato di immigrazione: i suoi genitori migrarono in Pakistan durante la divisione dell’India negli anni ’40 ed Hema si trasferì dalla piccola città di Baroda alla fiorente Bombay (Mumbai) negli anni ’90. Il suo lavoro non può che essere influenzato da queste sue significative esperienze di vita, mettendo così, l’immigrazione, spesso verso grandi città, al centro del suo percorso artistico. Dal 1999 le sue opere di grandi dimensioni sono presenti nei più importanti musei mondiali come Mori art museum di Tokyo, Hangar Bicocca, Milano, Art space, Sydney, Centre Pompidou di Parigi o ancora il Chicago culture centre.
La seconda grande sala di Studio la città è dedicata a Basilico prima di Basilico, mostra curata da Giovanna Calvenzi. 29 fotografie vintage tratte da una serie unica nel suo genere, stampata ai sali d’argento dallo stesso Basilico, mai stata venduta né ristampata. Il visitatore ha inoltre la piacevole fortuna di guardare, in un’altra sala della galleria, il video documentario del regista Giampiero D’Angeli, un focus sulla vita e il lavoro del fotografo, prodotto da Giart in collaborazione con Contrasto. Nato a Milano nel 1944, si laurea in architettura nel 1973 e in quegli anni nasce la passione senza fine per la fotografia. La forma e l’identità delle città, lo sviluppo delle metropoli, i mutamenti in atto nel paesaggio postindustriale sono da sempre i suoi ambiti di ricerca privilegiati. Considerato uno dei maestri della fotografia contemporanea, ha ricevuto molti premi e i suoi scatti fanno parte di prestigiose collezioni pubbliche e private italiane e internazionali. Nell’estate del 1970 Gabriele Basilico intraprende un lungo viaggio in auto dall’Italia all’Iran con un gruppo di amici. Ha con sé due macchine fotografiche e vuole realizzare un reportage con la speranza poi di poterlo vendere a qualche giornale. «Dopo ore di auto sulle interminabili strade polverose – scrive Basilico in Appunti per un testo sull’Iran 1970 – si incontrano piccoli centri rurali modellati con l’argilla. Uno sfondo color creta in cui vibrano velocemente i colori degli abiti delle donne che si nascondono alla vista dei visitatori, i veli neri, e l’accorrere degli uomini infantilmente incuriositi». I suoi modelli di riferimento visivo sono i grandi fotografi dell’agenzia Magnum e la tradizione del fotogiornalismo. Nonostante le immagini dell’Iran siano lontane dallo stile che diventerà suo negli anni seguenti, con questi lavori Basilico dichiara il fascino che le geometrie del costruito hanno già su di lui. Legata a questa esposizione Aslc, progetti per l’arte, il 19 marzo, sempre nella galleria veronese, dedica l’incontro Iran: punti di vista. Un confronto tra diverse esperienze culturali, non solo arte dunque, ma un panorama più ampio e molto diversificato sia per i contesti sia per i tempi. Presenti Giovanna Calvenzi, compagna di Gabriele Basilico anche in quel viaggio straordinario nell’Iran degli anni ‘70, l’Ambasciatore Amedeo de Franchis che dal ‘74 al ‘76 ricopriva il ruolo di Incaricato d’affari presso all’Ambasciata Italiana a Teheran, e lo scrittore documentarista Terence Ward autore del recente romanzo Searching for Hassan: a journey to the heart of Iran. Ward visse da bambino in Iran per poi ritornarci per svariati motivi e ora il suo romanzo diventerà la sceneggiatura di un film co-prodotto per la prima volta, dopo molti anni, dagli Stati Uniti e Iran insieme. Marco Meneguzzo coordinerà l’incontro per riscoprire, attraverso le diverse testimonianze, i cambiamenti di un così eterogeneo contesto culturale ricco di suggestioni. Fino al 7 maggio; info: www.studiolacitta.it