Il Macro rende omaggio al centenario della nascita dell’artista romano con una mostra realizzata in collaborazione con la fondazione Toti Scialoja da cui provengono tutte le opere, molte esposte per la prima volta. Inizialmente poeta e scrittore, solo dopo l’incontro con Corrado Cagli inizia a dedicarsi in via esclusiva alla pittura. Le prime opere presenti sono degli anni ’40, ancora legate al tonalismo romano ma già aperte a cogliere suggestioni e influenze internazionali derivanti per esempio da Van Gogh prima, da Picasso poi. È solo dieci anni più tardi però, complice anche un viaggio a New York nel 1956, in cui ha modo di conoscere e confrontarsi con i grandi artisti statunitensi, che il suo linguaggio pittorico si fa astratto.
Sono di questo periodo le prime impronte, tra le sue serie più celebri: segni lasciati sulla tela tramite un pezzo di giornale accartocciato e imbevuto di colore. Nel 1959, sulla rivista Esperienza Moderna le descrive così: ”Poiché sarà il gesto, un moto del nostro corpo, il respiro, a creare direttamente la forma. Ma il gesto non è che un modo di imprimere sé direttamente e immediatamente nella materia, attraverso la materia. Il gesto crea un’impronta. Le impronte si ripetono una sull’altra e una accanto all’altra finché la superficie divenga la naturale «visione senza punto di vista»; l’atto semplice. Allora il processo della vita è divenuto ritmo. E come un’impronta, spontaneamente, non può non essere elementare e unica, di volta in volta, ridotta a pura essenza (fin dal primo momento, l’impronta è tutta intera l’immagine), così il suo ritmo non potrà essere, in ogni punto, che affermazione, sempre ricominciata, di un tempo divenuto interamente umano”.
La sua pittura sembra congelarsi nel corso degli anni ’70, con opere molto geometriche spartite in sezioni cromatiche ben delimitate e fisse. Ma a partire dal decennio successivo vive una nuova fase di esplosione cromatica, che raggiunge il vertice con i grandi teleri degli anni ’90, ultime produzioni dell’artista, esposte in quest’occasione per la prima volta. Parallelamente all’attività di pittore ha lavorato come scenografo e costumista per il teatro, attività documentata da molti disegni, studi e bozzetti e, più tardi, per spettacoli televisivi, come la serie Rai Fantaghirò. Per la prima volta in mostra e restaurata per l’occasione in un cantiere allestito al Macro, La macchina a pettine, una delle cinque sculture realizzate dall’artista nel 1986 in occasione dello spettacolo Il ratto di Proserpina, durante le Orestiadi di Gibellina. Un’ampia sezione è infine dedicata alle poesie per bambini realizzate negli anni ’70, in cui si concentra sulla sonorità, il ritmo delle parole, creando delle simpatiche filastrocche non-sense, a testimonianza della sua primaria indole da poeta mai del tutto sopita. A questa mostra ne seguirà una seconda a partire dal 22 maggio, dedicata agli amici e colleghi di Toti Scialoja quali Burri, Calder, De Kooning, Fontana, Twombly e Perilli, con opere sempre esclusivamente provenienti dalla fondazione.
Fino al 6 settembre; Macro, via Nizza 138, Roma; info: www.museomacro.org